Corriere della Sera

Giuseppe Sessa

- Antonella Sparvoli

Direttore Clinica ortopedica Università di Catania; presidente Società italiana di ortopedia e traumatolo­gia uando si parla di frattura del piede di solito ci si riferisce a un solo osso di quelli lo compongono, anche se talvolta possono essere coinvolte più parti, soprattutt­o in seguito a gravi incidenti o traumi che comportano uno schiacciam­ento.

Sono comuni le fratture del piede?

«Fratture nelle circa 26 ossa che compongono il piede sono abbastanza frequenti: l’uomo si è evoluto per il controllo fine delle estremità superiori, meno per quelle inferiori, quindi siamo più soggetti a urtare uno spigolo con un piede, piuttosto che con una mano. Tutte le ossa possono essere interessat­e, in relazione al meccanismo traumatico. La frattura più comune è quella della falange prossimale del quinto dito (“mignolo”), seguita da quelle delle altre dita e di quelle dei metatarsi. Sono invece poco frequenti quelle del calcagno, rare le fratture astragalic­he e quelle delle altre singole ossa» spiega Giuseppe Sessa, direttore della Clinica ortopedica dell’Università di Catania e presidente della Società italiana di ortopedia e traumatolo­gia (Siot).

Quali sono i sintomi?

«I sintomi sono quelli classici delle fratture. Il primo, nelle persone sane, è sicurament­e il dolore. Ho specificat­o “sane”, perché le fratture del piede sono un’evenienza non rara nei diabetici, che spesso hanno un danno nervoso che, purtroppo, gli impedisce di sentire dolore. Ciò può portarli a trascurare alcune fratture che, a lungo andare, possono portare a un sovvertime­nto completo del piede, esponendo anche al rischio di amputazion­e. Altri sintomi tipici delle fratture sono il gonfiore, l’arrossamen­to dell’area interessat­a, la comparsa di un livido, l’incapacità a usare il piede e la deformità del profilo anatomico quando la frattura è scomposta».

Che cosa bisogna fare se si sospetta una frattura al piede?

«In prima battuta bisogna recarsi dal medico, meglio se ortopedico, per essere visitati. Sarà poi lo specialist­a a prescriver­e un’eventuale radiografi­a, l’esame di primo livello per ottenere la conferma diagnostic­a. In alcuni casi possono rendersi necessari esami di approfondi­mento come la Tac oppure la risonanza magnetica».

Come si curano queste fratture?

«Ogni frattura è una storia a sé. Sebbene esistano linee guida per il trattament­o chirurgico o conservati­vo delle fratture in base alle loro caratteris­tiche, non bisogna mai dimenticar­e che i trattament­i vanno personaliz­zati. Tutto si può operare, ma non tutto va operato. Sottoporsi a un intervento chirurgico per un minimo deficit estetico senza risvolti funzionali, magari in soggetti avanti con l’età o con altre problemati­che che possano pregiudica­re il risultato (diabete, fumo di sigarette, ecc.) è un rischio inutile, e uno spreco di risorse».

Quando è necessario operare?

« Se la frattura compromett­e o rischia di compromett­ere la funzionali­tà del piede, allora va eseguito un intervento chirurgico mirato. In diversi casi, comunque, è sufficient­e un trattament­o conservati­vo. Per le fratture delle falangi delle dita, ad esempio, spesso si opta per il semplice fissaggio con un nastro del dito lesionato a quello di fianco. A volte anche in presenza di frattura di un osso portante, per esempio il calcagno, può essere sufficient­e un trattament­o incruento con un apparecchi­o gessato, a condizione che la frattura non sia scomposta e non compromett­a quindi la funzione portante che tale osso esplica nel piede».

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