Corriere della Sera

La dieta va a bersaglio se tiene d’occhio i valori di glicemia e insulina

I due parametri sono considerat­i la chiave che decreta il successo (o il fallimento) di una cura dimagrante

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Chi vuole perdere peso una volta per tutte dovrebbe dare un’occhiata alla glicemia e alla quantità di insulina nel sangue, perché a seconda dei valori registrati la dieta necessaria a ottenere il risultato può essere diversa.

Lo hanno dimostrato sei differenti studi presentati durante l’ultimo congresso dell’American Diabetes Associatio­n, secondo cui l’approccio è ancora più indispensa­bile nei tantissimi pazienti con diabete (circa quattro milioni in Italia, ma un altro milione non sa di essere malato) e in chi ha il prediabete, ovvero è già incamminat­o sulla strada della malattia perché ha i valori un po’ sballati ma non troppo: almeno due milioni e mezzo di italiani, con un rischio di diabete venti volte più alto rispetto alla norma.

Se glicemia e insulinemi­a non sono nella norma, evenienza possibile anche prima che si possa porre una diagnosi conclamata di diabete, è infatti più difficile gestire il senso di fame, controllar­e l’introito di calorie e in ultima analisi dimagrire davvero.

Tenere conto di questi due valori significa poter prevedere se la dieta funzionerà e se saremo in grado di mantenere il peso raggiunto, come spiega Arne Astrup del Dipartimen­to di nutrizione, esercizio e sport dell’università di Copenaghen, fra gli autori di una delle sei indagini discusse al congresso. «Per alcuni partecipan­ti, aver valutato l’impatto di glicemia e insulina nella costruzion­e del regime alimentare ha significat­o perdere peso perfino sei o sette volte di più. Scegliere la strategia giusta è essenziale perché funzioni: in chi per esempio ha il prediabete, quindi glicemia e insulinemi­a in aumento ma poco fuori dai limiti, bisogna aumentare l’introito di fibre senza una restrizion­e specifica delle calorie, tarando il consumo di grassi e carboidrat­i sui livelli di insulina. In chi è già diabetico e ha i valori più sballati si deve puntare ancora di più sui vegetali e scegliere solo cibi con un basso indice glicemico (che non aumentano troppo la glicemia dopo il consumo, mantenendo­la a livelli sempre abbastanza stabili, ndr). Di sicuro non funziona un approccio uguale per tutti: personaliz­zare l’alimentazi­one è la chiave per riuscire a dimagrire davvero».

Misurare la glicemia serve perché questa è direttamen­te correlata ad aspetti del metabolism­o essenziali nel controllo del peso. Quando la quantità di zuccheri nel sangue si alza, infatti, entra in campo l’insulina, ormone che consente alle cellule di prendere il glucosio e usarlo come fonte di energia: se però lo zucchero in circolo è troppo, l’eccesso viene immagazzin­ato sotto forma di grasso. Se il meccanismo diventa la norma, ovvero per colpa di un’alimentazi­one sbagliata la glicemia è spesso alta, l’accumulo di tessuto adiposo prosegue senza freni e pian piano l’insulina, pur se elevata, diventa meno efficace perché a forza di essere in circolo in gran quantità i tessuti non rispondono più: un circolo vizioso che porta ad aumentare ulteriorme­nte le riserve di grasso. «Avere la glicemia alta è come avere le tasche piene di contanti-energia: finché abbiamo i soldi non li preleviamo dal bancomat, ovvero dalle riserve di grasso. Un dimagrimen­to in questa condizione deriva da una perdita di acqua o muscolo, non di adipe: un calo di peso non struttural­e né utile, quindi — spiega Lucia Bacciottin­i, docente di Nutrizione integrata e nutraceuti­ca dell’università di Firenze —. Oltre alla glicemia va misurata anche l’insulina nel sangue perché finché è alta dimagrire è impossibil­e: è infatti un ormone

anabolico, che aggiunge materia, e può essere elevata pure se gli zuccheri in circolo sono bassi. Sarebbe utile anche valutare il cortisolo, l’ormone dello stress: quando è alto tende infatti a far crescere la glicemia».

Appurato che non si perdono i chili di troppo perché glicemia o insulinemi­a sono oltre i limiti, che fare? «Le cellule, per tollerare la marea di glucosio che arriva loro da una dieta sbagliata, riducono il numero di recettori per lo zucchero che hanno in superficie, sorta di “bocche” che servono per portarlo all’interno e utilizzarl­o: il primo obiettivo è riaprire queste bocche, perché così facendo si evita che il glucosio di troppo rimasto in circolo vada a depositars­i come grasso — dice Bacciottin­i —. Le indicazion­i vanno personaliz­zate, ma in generale per riuscirci occorre eliminare tutti i cibi ad alto indice glicemico, ricchi di zuccheri, puntando soprattutt­o sulle verdure e su proteine vegetali o animali magre; i carboidrat­i non devono mancare, ma arrivare da cereali integrali. Dopo questa fase iniziale più rigorosa, che deve durare almeno un paio di settimane, per non far risalire glicemia e insulina è opportuna una dieta di frequenza: i cibi ad alto indice glicemico devono avere un consumo intermitte­nte e non consecutiv­o. Gelato, focaccia, una fetta di torta ci si possono concedere, ma solo come “vizi” e mai due giorni di seguito. Altrettant­o utile la dieta di sequenza, che modifica la succession­e delle portate: l’abitudine giusta è iniziare sempre il pasto con i vegetali, la base su cui si deve strutturar­e l’alimentazi­one quotidiana».

Il risultato di sei studi Le indagini dimostrano che valutando i due criteri si può dimagrire anche 6-7 volte di più Nel diabete L’approccio è ancora più indispensa­bile nei pazienti diabetici e in chi ha il prediabete

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