L’ex sindaco: con Renzi si deve parlare, no a un polo di testimonianza
Alla fine, pur con il tatto e la prudenza che lo contraddistinguono, Giuliano Pisapia lo dice. «Renzi è stato votato alle primarie del Pd da milioni di persone. Non è il candidato premier, ma è il segretario del partito più grande del centrosinistra. Il mio ragionamento, con i personalismi, non c’entra nulla. Io voglio valorizzare ciò che unisce e non ciò che divide, per battere le destre risorgenti e i populismi come quello del M5S. Voglio che sia il centrosinistra a governare e a cambiare l’Italia». Le persone che alle primarie del Pd hanno votato Renzi, per l’esattezza, non sono state «milioni», ma un milione 250 mila. Poiché però rappresentano quasi il 70 per cento di chi ha partecipato alle primarie del Pd, il discorso di Pisapia non si presta a equivoci: chi altri, all’interno del centrosinistra, può vantare un consenso così ampio?
La sala del castello normanno-svevo di Mesagne è piena, ci saranno duecento persone, e Pisapia sembra quasi meravigliato per l’interesse e l’accoglienza, anche perché è una domenica di sole e il tema dell’incontro, «Per un campo largo e plurale», non è particolarmente eccitante. E poi perché da queste parti Pisapia non ha truppe cammellate che lavorino per lui. Questo è il Salento in cui D’Alema riusciva a essere eletto anche quando la sinistra perdeva e dove è in atto un rimescolamento e un «riposizionamento» di tutte le figure di secondo e terzo piano che stavano con Sel, con il Pd, con Emiliano, con Vendola, con D’Alema, con tutti e poi contro qualcuno e poi di nuovo con tutti, e che oggi cercano soprattutto di fiutare bene la direzione del vento per non sbagliare cavallo.
Pisapia lo sa, e sorvola sul fatto che a presentarlo sia un deputato locale, Toni Matarrelli, che incarna, diciamo così, questa incertezza, e che in tempi record è transitato da Sel a Possibile e da qui a Mdp, e ora è pronto a sostenere l’ex sindaco di Milano. Anche i duecento in sala ne sembrano consapevoli e infatti vogliono ascoltare solo Pisapia, capire se è vero che ce l’ha con D’Alema o se il suo discorso sui personalismi da evitare valga per tutti, e quindi anche per lui, che su questo elemento basa la sua proposta.
«Vale per tutti. E quindi vale anche per me — dice Pisapia, incassando gli applausi —. Ho detto e ribadisco che se per un centrosinistra largo, coeso, che vuole vincere le elezioni, D’Alema risultasse divisivo, dovrebbe fare un passo a lato. Lo stesso vale per me, che in tal caso farei non solo un passo a lato, ma un passo indietro. Se tutti vogliamo contribuire a ottenere il risultato che ci prefiggiamo, ognuno di noi deve capire questo. Altrimenti regaleremo il Paese a quelli che diciamo di voler sconfiggere».
Per far comprendere meglio cosa è venuto a dire, Pisapia ricorre a due esempi. Uno da imitare e uno da evitare. «Lecce è l’esempio di centrosinistra
come lo vorrei io — dice —, mentre Sesto San Giovanni, ora governato dalla destra, è ciò che non voglio». Pisapia sostiene che con Renzi sia necessario parlare e che questo non significhi mutare l’orizzonte di un impegno politico «basato sul civismo, l’ambientalismo, il volontariato, l’interazione con il
Il governo «Voglio battere destre e populismi, voglio che sia il centrosinistra a governare» Il rischio Nel Salento caro a D’Alema: se si è divisivi regaliamo il Paese a chi vogliamo sconfiggere
cattolicesimo democratico». E alle critiche «da sinistra» (i suoi ex compagni di Rifondazione, oggi in Sinistra italiana) risponde così: «Loro pensano che oggi in Italia ci voglia un quarto polo. Non sono d’accordo. Non mi interessa un polo di testimonianza. Abbiamo il dovere di proporre, di governare e di cambiare l’Italia. Senza personalismi».