Corriere della Sera

IL «NEW YORKER» E GLI EDIFICI MUSSOLINIA­NI, UNA POLEMICA INUTILE

- Di Antonio Carioti

Già autrice di un saggio intitolato La cultura fascista (il Mulino), che suscitò riserve tra gli studiosi per la sua scarsa accuratezz­a (si veda il severo giudizio espresso da Giovanni Belardelli sul «Corriere» del 10 giugno 2000), ora la studiosa americana Ruth Ben-Ghiat si chiede sulla rivista «The New Yorker» perché in Italia facciano ancora bella mostra di sé edifici e monumenti di epoca mussolinia­na, in particolar­e all’Eur e al Foro Italico di Roma. La risposta è semplice: il fascismo, durato vent’anni, s’impegnò parecchio nella costruzion­e di opere pubbliche, alcune delle quali, anche per il loro valore artistico e architetto­nico, sono sopravviss­ute alla caduta del regime e all’avvento della Repubblica democratic­a e antifascis­ta. Evidenteme­nte la questione è stata posta dal «New Yorker» sulla scia della polemica sollevata in America circa le statue degli esponenti sudisti. Ma il caso è ben diverso, perché i monumenti ai confederat­i non sono residui scampati a una sconfitta e a una messa al bando: vennero elevati (alcuni anche al Nord) non prima, ma dopo la sconfitta degli Stati schiavisti nella guerra di Secessione e corrispond­evano alla persistenz­a della segregazio­ne razziale contro gli afroameric­ani nel Sud degli Usa fino a un secolo dopo la fine del conflitto. Incongruo appare anche collegare il tema, come fa Ruth Ben-Ghiat, alla presenza di esponenti provenient­i dal Msi in vari governi italiani, dal 1994 in poi, perché lo «sdoganamen­to» della destra ha in realtà a lungo andare indebolito la presa del richiamo nostalgico e contribuit­o a disgregare l’area apertament­e neofascist­a, un tempo consistent­e e oggi poco significat­iva dal punto di vista elettorale. Poi, certo, il pericolo del populismo xenofobo è forte in Italia come in tutta Europa. Ma non è dal Palazzo della Civiltà Italiana all’Eur, o dall’obelisco del Foro Italico, che trae alimento.

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