Stephen King, van Gogh, il Sessantotto: l’arte della rivoluzione
Èil re dell’horror, con oltre 350 milioni di copie vendute nel mondo: Stephen King (che ha da poco compiuto settant’anni), insieme al figlio Owen (che di anni ne ha invece quaranta), è il protagonista dell’intervista di Matteo Persivale su «la Lettura» #306, in edicola fino a sabato (un numero speciale a 56 pagine). Padre e figlio hanno scritto insieme Sleeping Beauties, il nuovo romanzo in uscita in Italia per Sperling & Kupfer il 21 novembre. La famiglia, le paure, l’età: il padre di It, che con la sua uscita 31 anni fa sconvolse milioni di lettori, si racconta e svela i suoi grandi timori.
A un altro sconvolgimento, stavolta storico, sono invece dedicate le tre pagine che celebrano i cinquant’anni dal 1968, rivolta di giovani che aprì la strada a una nuova epoca (politica, culturale, di costume). E che Francesco Cevasco, Aldo Colonetti, Paolo Di Stefano, Francesco Piccolo, Ranieri Polese, Maurizio Porro, Edoardo Sassi, Mauro Sconcerti, Alessandro Trevisani ed Emanuele Trevi narrano attraverso dieci «simboli».
Il fermento estetico e la rabbia politica, che hanno portato molti street artist a ridisegnare letteralmente le città italiane, sono tra gli elementi scatenanti anche dei murales, il nuovo fenomeno di «riarredo metropolitano» al centro del reportage di Stefano Bucci. Il re dell’arte che diventa denuncia politica rimane però sempre Banksy, forse il writer più famoso del mondo, che ora (come spiega Vincenzo Trione) disegna tweet postandoli direttamente sui social come un momento di impegno.
La pittura è comunque (da sempre) anche rivoluzione. E un grande rivoluzionario resta il protagonista del «Cartellone» (monotematico) di questa settimana: Vincent van Gogh (1853-1890) a cui è dedicata la mostra Van Gogh. Tra il grano e il cielo (a Vicenza, fino all’8 aprile) che la critica e storica dell’arte Anna Villari presenta attraverso un percorso tra dodici capolavori del maestro olandese.
L’arte è capace però anche di restituire dignità. Partendo da un saggio di Steven Nadler, Gli ebrei di Rembrandt (Einaudi), la filosofa Donatella Di Cesare riflette sull’importanza delle opere di Rembrandt (1606-1669), che immortalò la quotidianità degli ebrei ad Amsterdam, dando loro una prima forma di emancipazione.
Una delle più grandi rivoluzioni storiche — quella legata da Cristoforo Colombo con la scoperta dell’America — sembra essere stata rimessa in discussione da qualche tempo. Partendo dalle accuse di schiavismo, avidità, aggressione e «olocausto», gli storici Gabriella Airaldi e Marcello Carmagnani in una conversazione curata da Antonio Carioti, ne rievocano la figura fuori dai pregiudizi.