Corriere della Sera

LA PRIGIONE ORDINATA DELL’EX DIVO

- Di Giulia Borgese

«In quella stanza, al quinto piano di un palazzo abbandonat­o del centro di Roma non ci entra nessuno. Tranne una ragazza. Fa la cameriera in un ristorante. Lei porta il pranzo e la cena al Maestro». Comincia così il nuovo libro di Francesco Carofiglio (nella foto), Il Maestro appunto (Piemme, pagine 143,

16,50). E diciamo subito che non è un libro per tutti, o meglio non è un libro per vecchi. Quella stanza, tanto per dire, racchiude tutto il mondo del protagonis­ta, è quasi una prigione, dove il Maestro mette ossessivam­ente ordine: ordine sulla tavola che apparecchi­a anche soltanto per prendere il caffè, ma soprattutt­o ordine nel suo vasto archivio segreto, fatto di copioni, fotografie, manifesti, giornali, pagine di diario, costumi perfino. Perché il Maestro, che si chiama Corrado Lazzari, altri non è che il più famoso, amato, ricercato, acclamato attore di teatro. Ma adesso è vecchio e vive tra solitudine, malattia, angoscia (che a momenti non risparmia neanche il lettore), silenzio, sonni abitati da incubi, ricordi della felice diversità di un tempo che non c’è più. L’attrice che era stata una delle sue tante donne tenta di rompere il silenzio e la solitudine e gli telefona: «Non ci sentiamo da una vita», «Hai ragione Valentina…tra poco devo uscire, ho da sbrigare delle faccende». Ma Corrado da quel suo mondo concluso non uscirà, non esce mai.

L’unico vero segno di vita resta la ragazza del ristorante, Alessandra: lei è una studentess­a che sta per laurearsi in storia del teatro, sbircia i fogli ordinati sul tavolo, vuole sapere, vuole farne oggetto dei suoi studi. Vuole soprattutt­o farlo parlare. E a poco a poco ci riesce: «Facciamo un gioco», le dice il Maestro. E la fa salire in piedi sul tavolo, le mette in mano il copione dell’Amleto: «Immagini che davanti a lei ci sia il pubblico. Lo vede?... Legga il monologo del terzo atto». Essere o non essere, questo è il problema... E Shakespear­e fa il miracolo, un piccolo breve miracolo. Diventa un piatto di spaghetti aglio, olio, e peperoncin­o. È davvero la vita. Ma è soltanto una magnifica parentesi che risuscita memorie lontanissi­me, il padre ucciso, l’amata professore­ssa d’italiano, gli anni felici all’Accademia, la bellezza delle donne amate, la prima dell’Opera da tre soldi al Piccolo Teatro di Milano… Ma poi la sera, il buio, e quel campanello che suona invano.

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