Susanna, rivelazione a Venezia: nel mio film la lezione di Moretti
Nicchiarelli regista del dramma rock «Nico» sulla cantante dei Velvet «Mi piace raccontare i personaggi goffi e sconfitti, Nanni mi ha formato»
«È bellissimo tuo figlio, ti somiglia, è tutto sua madre», le dice un amico. «No, è tutto suo padre», risponde lei. Il padre è Alain Delon, la madre Christa Päffgen, in arte Nico. La musa di Andy Warhol, la cantante dei Velvet Underground il cui leader, Lou Reed, non la voleva. E infatti rimase per poco tempo in quel grumo di rock alternativo, tra gli anni 60 e i 70. Ma Susanna Nicchiarelli è andata oltre Nico: «Ho voluto raccontare la vera Christa». Una donna dalla vita drammatica. Il suo film, Nico, 1988, con la splendida Trine Dyrholm (considerata la Meryl Streep scandinava) alla Mostra del cinema di Venezia ha vinto nella sezione Orizzonti. Sarà nelle sale da giovedì.
Susanna è una nuvola a sé nel cinema italiano, un fascino strano come è strano il suo aspetto (pelle diafana, lunga chioma rossa, alta alta, voce da adolescente), e il suo destino al cinema. Regista romana di 42 anni, era destinata all’università dopo la laurea in Filosofia alla Normale di Pisa. Un giorno mise da parte Spinoza e Cartesio e partì per uno stage di cinema a Los Angeles, dove girò un corto. Tornata a Roma, lo consegnò al Sacher di Nanni Moretti. «Non ebbi il coraggio di darglielo personalmente. Mi telefonò mesi dopo, cominciai a lavorare per lui».
Dai diari delle persone comuni, al backstage del Caimano, il film su Berlusconi-Moretti (in mezzo il Centro Sperimentale). Nanni, carattere impossibile, intelligenza acuta, vivida, lucida. «Mi ha aiutato a capire quanto fosse importante sviluppare la mia identità, il mio stile. Mi diceva continuamente: devi fare il tuo film. Mi ha formato». Susanna girò Cosmonauta (vinse a Venezia in Controcampo): due ragazzini comunisti e la corsa allo spazio negli Anni 60. Con Nico, è rimasta a quell’epoca che lei non ha vissuto. Perché le piace il senso del passato, e i personaggi «goffi e sconfitti. Sono più reali, nella fragilità ci si ritrova». Nico trovò soddisfazione nella sua arte solo dopo aver perso la maggior parte dei suoi fan, una donna bellissima che si scopre felice quando bella non lo era più. Era nata a Berlino nel 1938 ed è morta prima di compiere 50 anni, cadendo dalla bicicletta. «Da ragazza andava in giro con un registratore, cercava i suoni che ricordavano le bombe».
Voleva cominciare a vivere da lì, dalle rovine di Berlino, dov’era cresciuta. «Si ritrova musicista nell’Europa decadente di fine anni 80, la Thatcher, la cortina di ferro, il suo concerto illegale a Praga sgomberato dalla polizia». Nico era già stata costretta a lasciare i Velvet Underground. Jim Morrison le disse di scrivere in musica i suoi sogni. «Faceva musica sperimentale, cupa; influenzò la new wave, il gothic, mentre nel mondo impazzava la disco music».
Si faceva chiamare la sacerdotessa delle tenebre, si tinse i capelli di nero, si costruì un’identità artistica che non aveva nulla a che vedere con la ragazza famosa di quando aveva 25 anni. Ebbe un figlio da Alain Delon, lui non volle riconoscerlo, erano due gocce d’acqua. «Nico era troppo giovane, lo portava con sé nei locali; appariva, spariva; circolavano alcol, droga. Il bambino fu affidato alla madre di Delon, lui non le rivolse la parola per quindici anni». Poi il padre ricreò un rapporto col figlio, la cui vita era già spezzata. A 16 anni tentò il suicidio.
Susanna, che film è? «Non ho voluto raccontare una storia astrattamente internazionale, è molto europea. Non sopporto i biopic che lavorano sulla somiglianza, sull’imitazione. Le musiche sono state riarrangiate; Trine Dyrholm, la protagonista, da ragazza faceva la cantante. Credo di aver mantenuto distanza dai sentimentalismi, e una certa ironia, ho come modello i primi film seri di Woody Allen. Ho rispetto degli spettatori, non sono una a cui piace annoiarsi, pericolo enorme al cinema».