Hamilton all’8° centro Una candela spegne le speranze di Vettel
F1: in Giappone l’inglese vince e mette le mani sul titolo
La verità è là fuori, dove Lewis Hamilton dimostra pure a Suzuka che la Mercedes è forte, solida e vincente. Ottavo centro stagionale per un leader ormai quasi irraggiungibile nel Mondiale (il vantaggio è salito a 59 punti), che nel commentare il presumibile colpo del k.o. inflitto a Sebastian Vettel si appoggia a concetti darwiniani: «La Ferrari ha fatto un errore a Singapore, poi ha avuto problemi di affidabilità in Malesia e qui. Chi sopravvive è il più adatto alla F1: anche se mancano ancora quattro gare alla fine, in questo momento la Mercedes dimostra di esserlo».
Ma la verità è anche là dentro, nel motore della Rossa. Di nuovo ribelle, di nuovo traditore, di nuovo culla di un mostro che aggredisce e paralizza. La morale, dunque, è che in tema di affidabilità (o come diavolo la si voglia definire) le Frecce d’argento stanno stravincendo il duello con il Cavallino. A Suzuka pare sia stata una candela (di fabbricazione giapponese), ben diversa dalle «sorelle» montate sulle auto di serie. La versione per la F1 è complessa: dispone di una soluzione che consente di implementare la potenza. Ci vogliono venti minuti per smontarne una e questa è stata la sentenza per Sebastian, accortosi nel giro di formazione che il motore girava a cinque cilindri. I meccanici, come già accaduto sulla griglia di Sepang con Raikkonen (per un guaio diverso), hanno tentato il miracolo effettuando un reset dell’elettronica. Pareva un rimedio efficace, ma già alla fine del primo giro, dopo una partenza buona eppure venata dalla necessità di difendersi più che dalla possibilità di attaccare, Vettel ha capito che non era così. La SF70H, sverniciata subito da Verstappen & co., non aveva smalto: richiamo ai box e ritiro, la mesta colonna sonora di un Gp che sa di svolta. E mentre Hamilton aveva il vento dalla sua, braccato invano da Verstappen, con il soldatino Bottas (battuto da Ricciardo nella lotta per il terzo posto) pronto a tappare l’olandese nell’unico momento in cui Lewis è parso vulnerabile, Seb s’è visto recapitare dagli steward pure il bollettino della beffa: reprimenda perché, essendo impegnato con i meccanici, ha saltato l’omaggio all’inno nipponico. Non è dettaglio da poco: è la seconda sgridata dopo quella di Baku; alla terza, rimediata in pista o per fatti non di gara, scatta il -10 sulla griglia. Ci manca giusto questo per completare il mosaico delle iatture.
Con cinismo si potrebbe osservare che queste defaillance tecniche evitano a Sebastian il rischio che sull’eventuale sconfitta pesino in gran parte la fesseria commessa in Azerbaigian e il mezzo errore di Singapore. Ma la realtà è che Vettel non è alla bandiera bianca: «Non so se c’entri l’affidabilità. Ma non abbiamo finito il Gp, per cui c’è un problema. Non occorre essere dei geni per capire che la situazione s’è complicata. Ma torneremo per fare bene nelle ultime quattro gare. La squadra è sulla giusta strada: ci sono aspetti positivi, anche se oggi è difficile vederli (non aiuta più di tanto nemmeno il quinto posto di Raikkonen, ndr)». Al muretto, Maurizio Arrivabene ha abbracciato il suo pilota: «Con quel gesto — spiega il team principal — ci siamo detti che non molliamo perché la macchina c’è, nonostante si debba riconoscere che alla Mercedes non è mancato nulla nel momento in cui a noi sono venute meno delle cose». Si riparte voltando pagina e ricercando ogni possibile motivazione. Basterà?