Le ragazze d’oro di Salvoldi pedalano sotto la pioggia
Il miracolo di Montichiari: il tetto fa acqua ma fioccano le medaglie
Il primo sguardo è sempre al cielo oltre le vetrate del velodromo, oggi azzurro e senza nuvole all’orizzonte. Sospiro di sollievo: scongiurato l’incubo pioggia che ticchetta sui teloni-toppa appesi al soffitto e poi filtra in pista.
Le smacchinate per raggiungere quest’angolo del bresciano hanno già un senso. Sedute a cerchio attorno al professor Edoardo «Dino» Salvoldi, commissario tecnico delle Nazionali femminili di ciclismo, le ragazze d’oro dello sport italiano ascoltano attente il menù del giorno: lungo riscaldamento dietro motori e poi, divise in quartetti, tre ripetute sui 3 mila metri a manetta.
Oggi a Montichiari ci sono 12 portacolori di un movimento che, accumulate già 207 medaglie internazionali tra strada e pista, negli ultimi due anni è diventato leader assoluto. Ecco il fenomeno trentino Letizia Paternoster, 18 anni, 13 ori tra Europei e Mondiali negli ultimi 12 mesi, una che, dice Salvoldi, «in pista è spietata e lucida come non ho mai visto». Ecco i 19 anni di Elisa Balsamo, tre ori in velodromo e uno su strada in 12 mesi e i 20 di Rachele Barbieri, primo titolo mondiale assoluto (nello scratch) della generazione ’97-’99. Montichiari è la loro seconda casa. Ci arrivano subito dopo la scuola, tornano a casa la sera. Ci restano settimane intere prima delle grandi gare, «giustificate ma non aiutate da molti professori» spiega Salvoldi, a dispetto di pagelle impeccabili.
L’Italia che stupisce il mondo e fa schiumare di rabbia i facoltosi maestri inglesi e australiani è un misto di passione e artigianato. Montichiari è l’unico velodromo coperto italiano. Comunale e non federale (al contrario degli altri), tecnologicamente arretrato in una disciplina dove tutto si gioca sui millisecondi e l’hi-tech è decisivo. Niente cronometraggio automatico, niente telecamere, sensori sul parquet, copertura wifi, controllo della temperatura. «In pista si gira col body — spiega il c.t. azzurro — e sotto i 16/17 gradi pedalare a 60 km all’ora con 18 millimoli di acido lattico nelle gambe è prender pugnalate». Eppure qui, passando ai maschietti, Elia Viviani ha costruito l’oro olimpico di Rio de Janeiro 2016 nell’Omnium e Filippo Ganna i trionfi nell’inseguimento. «Gli inglesi — spiega Salvoldi — hanno specialisti di analisi della performance, i francesi sono maestri di metodologia, noi ci difendiamo con applicazione, testardaggine e bricolage. E funziona». Funziona finché non piove. Da sei mesi il tetto del velodromo, ultimato solo da sette anni, fa acqua da tutte le parti. Il telone che protegge la lamiera (in teoria anti-umidità) appoggiata sui 6.528 tubi della copertura, forse coibentato male, fa filtrare l’acqua sulle tribune e in pista. Annullati i Campionati italiani, il rischio è che questo inverno l’impianto possa non essere utilizzabile per lunghi periodi o addirittura inagibile. «Puntiamo tutto sul Mondiale olandese di febbraio — spiega Salvoldi — e senza impianto torneremmo indietro di anni. In stage all’estero potremmo mandare poche atlete, chi ancora va a scuola dovrebbe allenarsi su strada o smettere. Sarebbe un vero delitto».
Il futuro del movimento azzurro più medagliato dipende dal comune di Montichiari che deve decidere se tamponare le falle o rifare del tutto la costosa copertura, unica soluzione a lungo termine. «Il tetto lo stiamo pagando noi con un mutuo di 4 milioni — spiega il presidente della Federciclismo, Renato Di Rocco —, in cambio di 120 giorni l’anno di uso della pista. Stiamo onorando il nostro impegno e ci aspettiamo che il comune si muova subito». È il minimo che si possa fare per ringraziare le ragazze d’oro del ciclismo che vivono di pista, passione e magre borse di studio.
Metodologie Ci difendiamo con applicazione, bricolage e molta testardaggine. E funziona Allenamenti Senza impianto torneremmo indietro di anni, chi ancora va a scuola rischia di smettere