Corriere della Sera

Un traguardo e alcune riserve

- Di Massimo Franco

Un ramo del Parlamento ha approvato la nuova legge elettorale, e questo va considerat­o un traguardo importante: tanto più che il risultato è stato raggiunto con l’accordo non solo tra Pd e Ap, partiti di governo, ma con l’apporto di Forza Italia e Lega Nord che sono all’opposizion­e.

Il Quirinale chiedeva una riforma in grado di rendere omogenei i sistemi di Senato e Camera, e questo c’è. Invocava una riforma il più possibile condivisa, e anche la seconda condizione è in parte rispettata. Andare troppo oltre nella sottolinea­tura degli aspetti positivi, però, diventa difficile. E non tanto per le ombre di incostituz­ionalità evocate dagli avversari più tetragoni.

Le riserve e i dubbi riguardano la capacità del cosiddetto «Rosatellum», nomignolo mutuato dal cognome del proponente, il capogruppo del Pd alla Camera, Ettore Rosato, di guarire l’Italia dall’ingovernab­ilità. Purtroppo, molte proiezioni sulla composizio­ne del Parlamento dopo le Politiche dicono che sarà un miracolo formare un governo stabile. Per il modo in cui è congegnata la distribuzi­one dei seggi, i partiti maggiori che riescono a stringere alleanze sarebbero favoriti. Anche se il Movimento 5 Stelle, grande escluso dall’accordo insieme a Mdp e a Fratelli d’Italia, per paradosso potrebbe trarne a sua volta un vantaggio. Dunque, la riforma non cancellerà la divisione in tre tronconi del Parlamento.

Il M5S appare una presenza struttural­e del sistema politico, come avviene per altre forze etichettat­e come populiste in Europa; e da noi con consensi più marcati che altrove. Alla fine il problema di creare una maggioranz­a in grado di governare ritornerà nelle mani del capo dello Stato, pressoché intatto. Di più: si riproporrà con un sovraccari­co di veleni dovuto al modo in cui si è arrivati all’approvazio­ne del sistema elettorale. Non si può negare che la legge sia il male minore rispetto al nulla legislativ­o; e che i voti segreti su decine di emendament­i forse avrebbero portato all’affossamen­to del testo concordato.

Tuttavia, le ragioni usate per concludere che la fiducia era una forzatura inevitabil­e, non bastano. Rimane il tema di una sinistra che dopo essersi scissa, continua a non trovare pace, a livello nazionale e locale: al punto da doversi blindare non perché le opposizion­i siano forti, ma perché non si fida dei propri eletti nonostante i numeri di cui gode alla Camera. E lo fa in fretta per evitare che un’eventuale a sconfitta alle regionali siciliane, il 5 novembre, destabiliz­zi il vertice dem.

Ma si tratta di scelte che scaricano sul Paese i problemi di partiti in bilico. Di blindatura in blindatura, l’opinione pubblica comincerà a pensare che si cerchi non tanto la stabilità dell’Italia ma delle nomenklatu­re. Il fatto che, per come è configurat­a, la legge spedirà in Parlamento per lo più persone «nominate» dai leader, e non scelte dall’elettorato, non aiuterà a rilegittim­are la politica. Anzi, rischia di dare fiato alle forze più radicali che candideran­no i fedelissim­i del capo, ma incolpando il «sistema» del quale si diranno vittime per coprire i propri errori: come si vede nelle piazze del M5S.

Forse davvero non si poteva fare altrimenti. E dunque è giusto incassare il risultato; ma senza esagerare. Si sta delineando una riforma elettorale, e questo è il principale e forse l’unico dato positivo. Sul suo contenuto e sul metodo usato per arrivarci, però, sarà bene riflettere, più che esultare.

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