Corriere della Sera

Dalla clausura alla causa catalana La «rivoluzion­e» di Suor Teresa

«Vogliamo l'indipenden­za non per egoismo, ma ripartire la nostra ricchezza»

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una dispensa di tre anni dalla clausura per dedicarsi alla sua causa.

La Catalogna è in sospeso fra lo strappo per l’indipenden­za e l’ultimatum del governo centrale, che potrebbe commissari­are la regione. Si aspettava che andasse così?

«Mi aspettavo tensioni e che la polizia avrebbe tentato di bloccare il referendum, ma non la violenza usata contro gente disarmata e bambini. Anche Human Rights Watch ha condannato l’uso sproporzio­nato della forza quel giorno. Sì, per la Costituzio­ne spagnola il referendum era illegale, ma non per il diritto internazio­nale che riconosce l’autodeterm­inazione dei popoli. Non mi sorprende invece il cinismo con cui la Ue ha guardato dall’altra parte, l’aveva già dimostrato durante la crisi della Grecia: a Bruxelles sono pronti a salvare le banche, ma non le persone».

Puigdemont ha fino a lunedì per rispondere a Madrid: ha dichiarato l’indipenden­za? La Catalogna è una Repubblica indipenden­te?

«Lo è. Ma non operativam­ente, perché non controllia­mo il territorio. Immagino che Puigdemont lunedì insisterà per il dialogo: non può abbandonar­e 2 milioni e 300 catalani che hanno votato. Ma non sfiderà il governo. Dirà: la nostra offerta è sul tavolo».

La Catalogna è la comunità più ricca di Spagna: per questo vuole l’indipenden­za?

«Non per egoismo, ma per poter decidere come ripartire questa ricchezza, attraverso leggi come quella sulla rendita di cittadinan­za, 650 euro al mese a tutti, o come quella che multa le banche che tengono appartamen­ti sfitti per speculare sul canone o quella che vieta di tagliare l’elettricit­à a chi non può pagare la bolletta. Tutte leggi bocciate dal tribunale costituzio­nale».

Una rivoluzion­e?

«Sì, pacifica».

Tra un anno tornerà in clausura?

«Certamente. Mi fido della chiamata di Dio».

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