Gli Stati Uniti e Israele lasciano l’Unesco E Trump firma per allentare l’Obamacare
Lo strappo dei due Paesi motivato dai «pregiudizi verso lo Stato ebraico». La politica Usa delle ritirate
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
Sembra l’inizio di una smobilitazione. Gli Stati Uniti annunciano ufficialmente che lasceranno l’Unesco, l’organizzazione dell’Onu per la protezione del patrimonio storico e culturale. Due giorni fa, Donald Trump ha detto: «Potremmo uscire dal Nafta», ovvero l’accordo commerciale con Canada e Messico, firmato nel 1994. Infine ieri, nella tarda serata, i consiglieri della Casa Bianca hanno spiegato ai giornalisti che il presidente rivelerà oggi la sua decisione sul trattato nucleare con l’Iran. Si prevede che Trump «decertificherà», in pratica ripudierà, l’accordo per il controllo del piano atomico di Teheran.
Tre vicende che sembrano dare concretezza allo slogan cardine della presidenza: «America First», prima l’America. Nno solo: il presidente ha firmato un ordine esecutivo con cui si avvia il processo di annullamento dell’Obamacare, la riforma sanitaria voluta dal suo predecessore.
Per il momento il dato più chiaro è proprio l’uscita dall’Unesco. Una nota del Dipartimento di Stato spiega che «la decisione non è stata presa alla leggera e verrà attuata il 31 dicembre 2018». Dopodiché Washington invierà semplicemente degli «osservatori». Secondo il ministero guidato da Rex Tillerson, l’organizzazione è dominata dai «pregiudizi anti-israeliani». E, probabilmente Su sito del immagini, video e tutti gli aggiornamenti sul caso Unesco con una mossa concordata, il premier Benjamin Netanyahu ha comunicato che a breve se ne andrà anche Israele. In realtà il distacco americano è cominciato già nell’epoca di Barack Obama. Nel 2011 gli Usa tagliarono i finanziamenti perché l’Unesco accettò l’Autorità Palestinese come membro a pieno titolo. Da allora gli americani hanno accumulato arretrati pari a 550 milioni di dollari, che difficilmente verranno versati.
L’ultimo scontro risale al luglio scorso. L’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, Nikki Haley, aveva duramente contestato la decisione dell’Unesco di considerare «territorio palestinese» la Città Vecchia di Hebron e la Tomba dei Patriarchi. Il 19 settembre, intervenendo davanti all’Assemblea plenaria, Trump aveva assicurato «pieno sostegno» alle attività dell’Onu. Non è andata così. E appare anche difficile che nel ruolo di «osservatori» gli Usa siano interessati, come si legge ancora nel comunicato di Tillerson, a favorire «le riforme» di cui avrebbe bisogno l’Unesco. L’istituto ha allargato il suo raggio d’azione, promuovendo anche programmi educativi per le ragazze, per tutelare la memoria e la comprensione dell’Olocausto e per difendere la libertà di stampa.
C’è un precedente: l’America di Reagan se ne andò nel 1984, bollando l’Unesco come una dépendance dell’Unione Sovietica. Poi George W.Bush, nel 2003, decise di tornare.
Più complicata la questione Nafta. Due giorni fa Trump ha ricevuto il premier canadese Justin Trudeau. Rapidi colloqui nello Studio Ovale, senza alcuna conferenza stampa. Trump ha concesso solo qualche battuta: «È possibile che non saremo in grado di raggiungere un accordo, oppure ce la faremo. Vediamo. Ma noi dobbiamo proteggere i nostri lavoratori. Ed è da molto tempo che stiamo contestando il Nafta, la sua equità». Trudeau non ha avuto l’occasione di replicare immediatamente. Più tardi ha fatto sapere di «essere ottimista», ma che il «Canada è pronto per ogni evenienza».