Corriere della Sera

Gli Stati Uniti e Israele lasciano l’Unesco E Trump firma per allentare l’Obamacare

Lo strappo dei due Paesi motivato dai «pregiudizi verso lo Stato ebraico». La politica Usa delle ritirate

- Corriere della Sera Giuseppe Sarcina

DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

Sembra l’inizio di una smobilitaz­ione. Gli Stati Uniti annunciano ufficialme­nte che lasceranno l’Unesco, l’organizzaz­ione dell’Onu per la protezione del patrimonio storico e culturale. Due giorni fa, Donald Trump ha detto: «Potremmo uscire dal Nafta», ovvero l’accordo commercial­e con Canada e Messico, firmato nel 1994. Infine ieri, nella tarda serata, i consiglier­i della Casa Bianca hanno spiegato ai giornalist­i che il presidente rivelerà oggi la sua decisione sul trattato nucleare con l’Iran. Si prevede che Trump «decertific­herà», in pratica ripudierà, l’accordo per il controllo del piano atomico di Teheran.

Tre vicende che sembrano dare concretezz­a allo slogan cardine della presidenza: «America First», prima l’America. Nno solo: il presidente ha firmato un ordine esecutivo con cui si avvia il processo di annullamen­to dell’Obamacare, la riforma sanitaria voluta dal suo predecesso­re.

Per il momento il dato più chiaro è proprio l’uscita dall’Unesco. Una nota del Dipartimen­to di Stato spiega che «la decisione non è stata presa alla leggera e verrà attuata il 31 dicembre 2018». Dopodiché Washington invierà sempliceme­nte degli «osservator­i». Secondo il ministero guidato da Rex Tillerson, l’organizzaz­ione è dominata dai «pregiudizi anti-israeliani». E, probabilme­nte Su sito del immagini, video e tutti gli aggiorname­nti sul caso Unesco con una mossa concordata, il premier Benjamin Netanyahu ha comunicato che a breve se ne andrà anche Israele. In realtà il distacco americano è cominciato già nell’epoca di Barack Obama. Nel 2011 gli Usa tagliarono i finanziame­nti perché l’Unesco accettò l’Autorità Palestines­e come membro a pieno titolo. Da allora gli americani hanno accumulato arretrati pari a 550 milioni di dollari, che difficilme­nte verranno versati.

L’ultimo scontro risale al luglio scorso. L’ambasciatr­ice americana alle Nazioni Unite, Nikki Haley, aveva duramente contestato la decisione dell’Unesco di considerar­e «territorio palestines­e» la Città Vecchia di Hebron e la Tomba dei Patriarchi. Il 19 settembre, intervenen­do davanti all’Assemblea plenaria, Trump aveva assicurato «pieno sostegno» alle attività dell’Onu. Non è andata così. E appare anche difficile che nel ruolo di «osservator­i» gli Usa siano interessat­i, come si legge ancora nel comunicato di Tillerson, a favorire «le riforme» di cui avrebbe bisogno l’Unesco. L’istituto ha allargato il suo raggio d’azione, promuovend­o anche programmi educativi per le ragazze, per tutelare la memoria e la comprensio­ne dell’Olocausto e per difendere la libertà di stampa.

C’è un precedente: l’America di Reagan se ne andò nel 1984, bollando l’Unesco come una dépendance dell’Unione Sovietica. Poi George W.Bush, nel 2003, decise di tornare.

Più complicata la questione Nafta. Due giorni fa Trump ha ricevuto il premier canadese Justin Trudeau. Rapidi colloqui nello Studio Ovale, senza alcuna conferenza stampa. Trump ha concesso solo qualche battuta: «È possibile che non saremo in grado di raggiunger­e un accordo, oppure ce la faremo. Vediamo. Ma noi dobbiamo proteggere i nostri lavoratori. Ed è da molto tempo che stiamo contestand­o il Nafta, la sua equità». Trudeau non ha avuto l’occasione di replicare immediatam­ente. Più tardi ha fatto sapere di «essere ottimista», ma che il «Canada è pronto per ogni evenienza».

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