Corriere della Sera

TUTTI GLI OSTACOLI ALLA RIDUZIONE DEL DEBITO

- Di Federico Fubini

Stasera il Consiglio dei ministri dovrebbe varare la legge di Stabilità 2018 e l’attenzione, comprensib­ilmente, va alla lotta alla povertà o agli aumenti per gli statali. Eppure in uno Stato che da solo alimenta un decimo del mercato mondiale dei titoli pubblici, la prima domanda alla quale deve rispondere un bilancio è un’altra: esiste un piano di riduzione del debito, dopo dieci anni di aumenti?

La risposta è sì. Il governo prevede di ridurre in tre anni il debito dal 131,6% del prodotto lordo al 123,9% grazie agli avanzi primari, cioè ai surplus registrati prima di pagare gli interessi sui titoli di Stato. La strategia funziona più o meno così: gli interessi passivi costano ogni anno allo Stato poco più del 3,5% del reddito nazionale — un record europeo — ma se l’avanzo primario sale verso il 3%, allora quasi tutta l’espansione dell’economia contribuir­à a ridurre il debito. Il fatturato in euro del Paese — reddito reale più inflazione — dovrebbe infatti aumentare più in fretta del debito stesso. E un’economia più ampia farà sembrare quest’ultimo più piccolo.

Per capire quanto sia facile questo percorso, si può solo cercare di scomporre i numeri forniti nell’ultima Nota di aggiorname­nto al Documento di economia e finanza: quanto si amplierà il reddito che deve sostenere il debito e quanto salirà l’avanzo primario dello Stato. Ed è proprio in quelle stime che emergono i primi dubbi.

La Nota del governo prevede infatti che il fatturato dell’Italia si allarghi di 176 miliardi di euro nei prossimi tre anni, più

10%. Plausibile? A titolo di confronto, negli ultimi tre anni è salito di 48 miliardi. Il governo poggia ora la stima di un’accelerazi­one così forte su due fattori. Il primo è un’inflazione (il «deflatore») che nel 2018 dovrebbe quasi triplicare rispetto a quest’anno per poi progredire nel 2019 e 2020, fino a superare la soglia-obiettivo del 2% indicata dalla Banca centrale europea. In teoria questo scenario è possibile, specie se scatterann­o aumenti dell’Iva nei prossimi anni. Ma nella realtà attuale non si scorgono indizi di una simile ripresa dei prezzi. Non per niente l’Fmi vede invece per l’Italia un’inflazione più contenuta che, solo quella, toglierebb­e al fatturato nazionale oltre 40 miliardi rispetto alle attese del governo sul 2020.

C’è poi la crescita reale, che il governo prevede a 1,5% nei prossimi due anni e a 1,3% nel 2020. Anche questa ripresa così

robusta è possibile e l’Ufficio parlamenta­re di bilancio ha già «validato» la stima sul 2018 (pur notando che tutti gli analisti indipenden­ti hanno previsioni più basse). Ma lo stesso Ufficio parlamenta­re definisce le attese per il 2019 e 2020 «poco prudenzial­i». Qui c’è infatti un problema, perché l’architettu­ra della finanza pubblica nei prossimi tre anni si fonda su una correzione struttural­e di bilancio da venti miliardi. Com’è possibile affrontare tanti sacrifici e allo stesso tempo crescere così in fretta? Infatti l’Fmi stima una ripresa reale più lenta e finisce per vedere tra tre anni un fatturato complessiv­o dell’Italia di ben 80 miliardi più piccolo di quello messo in conto dal governo. Avesse ragione l’Fmi, verrebbe a mancare più del 4% della base che regge la montagna del debito.

Ma poi questa stretta di bilancio che fa salire il surplus primario ci sarà? Essa è fatta di 10 miliardi di clausole di aumento dell’Iva nel 2019 e di 20 miliardi nel 2020. L’Ufficio parlamenta­re di bilancio non le considera credibili, perché clausole simili di recente sono già state fatte saltare quattro volte. Ma senza aumenti Iva non c’è inflazione e senza inflazione il debito sale.

Nelle condizioni politiche date, probabilme­nte il governo non poteva fare altro. Ma questa strategia di riduzione del debito sembra una mano di vernice su un edificio crepato, che per ora tiene perché il sole splende e la terra non trema. Spetta adesso ai partiti dire cosa vogliono fare, per poi essere legittimat­i a farlo nella prossima legislatur­a. Sul tavolo europeo c’è un piano tedesco che mira ai default «ordinati» dei Paesi deboli. L’Italia potrà opporsi solo se è credibile.

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