LAVORO SOMMERSO, QUEI DATI IGNORATI RIABILITANO I VOUCHER
Anche per i dati vale la fortuna. Ce ne sono alcuni che diventano delle star, si trasformano immediatamente in materia prima per esternazioni dei leader politici o insopportabili risse televisive, altri che invece restano nel cono d’ombra. Come si usa dire, nessuno se li fila. E il motivo molto spesso è semplice: ci raccontano la realtà nuda e cruda e non sono strumentalizzabili. In questa categoria rientra la rilevazione lanciata mercoledì scorso dall’Istat a proposito dell’economia sommersa (anzi dell’economia «non osservata», come recita il lessico statisticamente corretto). Ebbene in Italia ci sono ben 3,7 milioni di unità lavorative irregolari e la loro incidenza è segnalata purtroppo in costante aumento, tanto da portare il cosiddetto tasso di irregolarità attorno al 16%. L’Istat precisa che questa quota si ottiene sommando sia il lavoro nero sia quello sottopagato ed entrambi sembrano in crescita. I settori nei quali queste pratiche risultano più frequenti riguardano i servizi alla persona, l’agricoltura, il commercio e la ristorazione. Per correttezza va ricordato come si tratti di dati riferiti al 2015 ma comunque non si può non accostarli alla terribile querelle che abbiamo visto andare in scena sul tema dei voucher. La rilevazione Istat, infatti, mostra come quella campagna fosse viziata da pregiudizi ideologici e dalla ricerca di un determinato posizionamento politico perché buon senso vorrebbe che l’obiettivo prioritario fosse, per tutti, l’emersione dal nero e in qualche maniera i famigerati voucher comunque questa predisposizione la avevano. I dati del lavoro sommerso gettano anche una luce sinistra su eventuali misure di reddito universale, garantito a tutti. Il rischio di creare ulteriori sperequazioni balza fuori con evidenza: i 3,7 milioni di lavoratori irregolari lo percepirebbero tranquillamente.