LA GENERAZIONE SALTATA E I DISOCCUPATI
LAUREATI
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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere»
Caro Aldo,
in questo periodo assisto a una perseverante scoperta dell’acqua calda riguardo ai laureati italiani, prima da Confindustria e poi dall’Ocse. I laureati bistrattati, pochi e aggiungo anche umiliati purtroppo non riguardano solo la fascia di età tra i 25 e i 34 anni, ma riguardano anche la mia generazione (ho 46 anni), generazione completamente dimenticata dopo che Mario Monti ha affermato che è una generazione perduta irrimediabilmente. In Italia è una vergogna avere un titolo di studio di alto livello, una cosa da non scrivere nei curriculum e da non menzionare in fase di colloquio. Tutta questa falsa preoccupazione riguardo allo spreco di risorse umane laureate è una presa in giro, una farsa o semplicemente uno scherzo mal riuscito? Qual è la sua opinione in merito?
Cara Paola,
Appartengo alla sua stessa generazione, e purtroppo devo concordare con Mario Monti. Siamo una generazione destinata a essere saltata. Si è passati direttamente dagli ottantenni ai trentenni, da Umberto Eco a Roberto Saviano, da Berlusconi a Renzi (arrivato a Palazzo Chigi a 39 anni, scalzando il cinquantenne Letta). E la colpa non è dei vecchi, né dei giovani; è nostra. Cresciuti al tempo del riflusso, quando anche ballare si ballava da soli, siamo del tutto incapaci di fare rete. Ma questo ce lo siamo già detti.
Lei pone anche un altro tema, che riguarda pure le generazioni più giovani della nostra: la disoccupazione intellettuale. È un tema grave. L’Italia ha meno laureati degli altri grandi Paesi europei; eppure molti non trovano lavoro. Di solito si dice che abbiamo pochi ingegneri e troppi laureati in materie umanistiche. Ma è una visione antiquata. Chi l’ha detto che solo un ingegnere può gestire un’azienda? Alcuni tra i più grandi manager anglosassoni hanno fatto studi umanistici (o, meglio, nelle università anglosassoni la barriera non è così rigida, si studiano liberal arts and sciences). Del resto, Carlo Azeglio Ciampi non era un economista, era un professore di latino. Luigi Einaudi era laureato in giurisprudenza; ed Elémire Zolla, lo sciamano che leggeva il Mahabharata in sanscrito, considerava i suoi Principii di scienza della finanza il libro più importante scritto da un italiano nel Novecento. Anzi, un Paese come l’Italia, che è importante nel mondo per l’arte, la bellezza, la cultura, la pittura, dovrebbe considerare gli studi umanistici la priorità. Purtroppo investiamo troppo poco in arte, bellezza, cultura, turismo di qualità, scuola pubblica, università. E le conseguenze le pagano i giovani: laureati e disoccupati.