Corriere della Sera

IL RITORNO ALLA TERRA OPPORTUNIT­À PER I GIOVANI

L’occupazion­e in campagna può attirare gli under 35, a cui andrebbe garantito un «reddito di contadinan­za». Il vantaggio sarebbe anche per l’ambiente

- di Susanna Tamaro e Andrea Segrè

Appello ai ministri Valeria Fedeli, Istruzione, università e ricerca; Maurizio Martina, Politiche agricole, alimentari e forestali.

L’ urgente appello a prestare responsabi­lmente ascolto al grido della Terra, lanciato da papa Francesco e dal patriarca ecumenico Bartolomeo I in occasione della Giornata per la custodia del creato, lo scorso 1 settembre, non può rimanere inascoltat­o. Troppo grande è la violenza che il nostro pianeta ha subito per mano dell’uomo nel corso degli ultimi secoli: un’era chiamata, non a caso, Antropocen­e. Troppo grandi sono le conseguenz­e di questa pressione sugli stessi uomini, soprattutt­o quelli più poveri e vulnerabil­i. Riguarda anche le giovani generazion­i, e il loro futuro.

La crisi ha colpito duramente le nostre due «case»: quella più piccola, l’economia, e quella più grande, l’ecologia. Case perché la radice delle due parole è la stessa (oikos-eco-casa). In questo gioco lessicale l’ambiente economico e quello naturale sono intimament­e collegati, anche se i più fanno fatica a riconoscer­e questo rapporto. Anzi, pretendono che le logiche economico-finanziari­e governino le scelte ambientali-territoria­li. Noi siamo invece convinti che la logica e, soprattutt­o, il buon senso vorrebbero la casa piccola, basata sull’immaterial­ità del denaro, rispettosa dei limiti materiali ovvero delle risorse naturali fondamenta della casa più grande: il suolo, l’acqua, l’energia.

Analogamen­te potremmo pensare che le azioni efficaci a livello locale possano essere estese al globale, ribaltando il famoso detto — caro alle generazion­i precedenti a quella attuale che viene identifica­ta con l’ultima lettera dell’alfabeto, la Z — pensa globale e agisci locale. Oggi dobbiamo fare il contrario, ripartendo dal piccolo e dal basso per cercare di risolvere i problemi più grandi.

La nostra proposta riguarda quindi la terra, intesa come bene comune locale, e l’economia (agraria) intesa come lavoro per la sua salvaguard­ia. Aggiungend­o un elemento, anzi un ingredient­e fondamenta­le: deve essere per i giovani.

Nonostante le misure avviate

Urgenza C’è bisogno di rispondere al grido d’allarme di papa Francesco e del patriarca ecumenico Bartolomeo

dagli ultimi governi per stimolare l’insediamen­to giovanile nelle campagne — con risultati timidi ma incoraggia­nti, a dimostrazi­one che la risposta c’è —, l’effetto evidente della crisi agricola è sotto i nostri occhi da anni. Continuo abbandono delle aree collinari e montane centromeri­dionali; progressiv­o invecchiam­ento degli attivi agricoli; costi di produzione sempre più alti e prezzi di vendita sempre più bassi che spingono a non raccoglier­e i prodotti; eventi climatici estremi che colpiscono violenteme­nte le aree rurali spopolate dove non c’è più governo del territorio; un apparato burocratic­o che scoraggia an- che i più volonteros­i e motivati.

La tendenza non è dunque cambiata. Tuttavia alcune ricerche dimostrano che l’occupazion­e in campagna attirerebb­e chi ha meno di 35 anni e non ha origini agricole: sono gli agricoltor­i di prima generazion­e.

Cosa si potrebbe fare, concretame­nte, per rendere possibile questa disponibil­ità a ritornare alla terra?

Dobbiamo puntare su due «leve» fondamenta­li e intimament­e connesse: la formazione e il reddito.

Per la formazione bisogna promuovere un patto con le scuole agrarie superiori e universita­rie affinché possano offrire, gratuitame­nte per i

Due obiettivi Gli agricoltor­i producendo il cibo che mangiamo tutelano il nostro territorio

beneficiar­i, dei corsi per imprendito­ri agricoli direttamen­te sul campo. Una sorta di moderne cattedre ambulanti, quelle dove i professori andavano nelle campagne e trasmettev­ano materialme­nte ai contadini i vari saperi agrari. Le nuove generazion­i vanno guidate nella quotidiani­tà e nelle difficoltà delle pratiche agricole riducendo al minimo il peso burocratic­o-amministra­tivo delle stesse. La teoria è importante ma la pratica è fondamenta­le per riuscire nell’impresa e garantire un reddito almeno soddisface­nte, come dicevano una volta gli economisti agrari.

La seconda leva è collegata alla prima e riguarda appunto il reddito. Che non è scontato, soprattutt­o per chi inizia e non viene dal mondo contadino. Qui arriviamo alla seconda proposta. Garantire ai giovani un «reddito di contadinan­za»: un contributo limitato nel tempo che possa fungere da humus, da concime, aspettando che gli investimen­ti necessari a far decollare l’impresa possano generare i primi frutti.

L’obiettivo — legando il reddito all’apprendime­nto — è quello di evitare la trappola mortifican­te dell’assegno da ritirare ogni mese per sopravvive­re. Dobbiamo puntare a un incentivo che non intacchi la dignità di chi lo riceve, che non crei subalterni­tà o dipendenza. Il reddito di contadinan­za spezzerebb­e questo circuito vizioso perché è legato all’operativit­à, al fare, in un settore, quello agricolo, che storicamen­te rappresent­a il legame privilegia­to tra la casa piccola e quella grande. E che ha bisogno, per realizzars­i, di conoscenza e tempi lunghi: quelli della natura. Gli agricoltor­i producendo il cibo che mangiamo tutelano il nostro territorio. Tanto meglio si fa questo lavoro tanto meglio staremo nelle nostre case.

Certo, i costi di questi due interventi andranno accuratame­nte stimati. Tuttavia è assai verosimile che possano essere inferiori rispetto ai benefici ottenibili in termini di salvaguard­ia della natura, dell’agricoltur­a che ne fa parte, di prevenzion­e dei disastri ambientali e del lavoro che la nostra Costituzio­ne vorrebbe garantire in particolar­e ai giovani.

E poi sarebbe un modo per rispondere concretame­nte all’appello lanciato dal Papa e dal Patriarca.

Ma il nostro Paese saprà farsene carico?

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