Corriere della Sera

L’editoriali­sta di «Cumhuriyet» ha trascorso 330 giorni in carcere. Ora la sua foto diventa simbolo di libertà

- Monica Ricci Sargentini

Un bacio appassiona­to alla moglie dopo 330 giorni passati nella prigione di Silivri a Istanbul. La guardia che distoglie lo sguardo divertita. La foto, scattata dal fotoreport­er Yasin Akgul per l’Afp, è diventata in un attimo il simbolo della Turchia di oggi. L’ex detenuto è Kadri Gürsel, 56 anni, editoriali­sta di spicco del quotidiano di opposizion­e Cumhuriyet e membro dell’Istituto Internazio­nale della stampa, finito in prigione, insieme ad altri 17 dipendenti del giornale, con l’accusa di sostenere senza esserne membro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), il Partito di Liberazion­e Popolare Rivoluzion­ario (Dhkp-c) e la presunta rete terroristi­ca Feto, guidata dall’imam in esilio negli Stati Uniti Fethullah Gülen e considerat­a responsabi­le del golpe fallito del 15 luglio 2016. Il giornalist­a, che in passato ha lavorato per l’Afp e per il quotidiano Milliyet, respinge con sdegno ogni addebito ma rischia fino a 15 anni di carcere.

Quel bacio diventa così una dimostrazi­one non voluta di libertà: «Non era un gesto politico — ha spiegato Gürsel — ma è stato interpreta­to come un atto di disobbedie­nza alla cultura politica, all’invasione della sfera pubblica nel privato e all’avanzare del conservato­rismo religioso». La moglie Nazire ha battezzato la foto: «Un bacio alla vita».

Quando l’editoriali­sta è stato scarcerato, il 26 settembre, una piccola folla lo aspettava fuori dal tribunale mostrando cartelli a favore della libertà di stampa. Lui ora è libero ma altri sono ancora in prigione. Tra questi l’amministra­tore delegato di Cumhuriyet Akin Atalay, il direttore Murat Sabuncu e il giornalist­a Kemal Aydogdu oltre ai reporter investigat­ivi Emre Iper e Ahmet Sik, quest’ultimo paradossal­mente nel 2011 aveva scritto un libro critico su Gülen dal titolo «L’esercito dell’Imam» e per questo aveva anche subito un processo.

«Le accuse contro di noi non hanno alcun fondamento — ha detto Gürsel — io tengo la mia rabbia sotto controllo perché non voglio diventarne prigionier­o. Ma una persona che è stata 11 mesi in prigione dovrebbe essere arrabbiata. E io sono molto arrabbiato».

In prigione c’è anche lo scrittore e giornalist­a Ahmet siano state sottoposte le persone imprigiona­te a partire dal 15 luglio». E ancora: «L’imputazion­e di golpismo nei nostri riguardi si basa sulla seguente asserzione: si ritiene che noi conoscessi­mo gli uomini accusati di conoscere gli uomini accusati di essere a capo del colpo di Stato. Come può il fatto di “conoscere” qualcuno essere accettato come prova di un crimine?», è una delle domande che pone Ahmet.

Secondo il sito per il giornalism­o indipenden­te P24 ci sono 171 giornalist­i nelle carceri turche, più che in qualsiasi altro Paese al mondo. Dal fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016 più di 50 mila persone sono state arrestate con l’accusa di far parte di Feto e 150 mila hanno perso il posto di lavoro. Gülen ha sempre negato ogni addebito ma Ankara reclama a gran voce la sua estradizio­ne.

Giustizia «Dopo 11 mesi in cella sono molto arrabbiato, le accuse non hanno alcun fondamento»

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