Corriere della Sera

«Ho il diritto di rifiutare lo sfruttamen­to fatto passare per formazione»

- Enrico Galletti

Caro direttore, davanti ai plichi di progetti formativi dell’alternanza scuola-lavoro, nella mente di un adolescent­e latitano due pensieri. Il primo, di chi il proprio futuro lo abbozza già a matita sul banco di scuola e in questo progetto vede l’occasione di accorciare le distanze tra sé e il mondo del lavoro. E poi un secondo pensiero, racchiuso in uno slogan: «noi non siamo operai». Chi si ribella all’alternanza scuolalavo­ro lo fa con una storia alle spalle. Dalla preparazio­ne dei caffè, al lavapiatti a ore che «domani c’è da Sul «Corriere» Il corsivo di Dario Di Vico sul tema lavorare quindi vieni due ore prima». E in questo quadro, piuttosto desolante, resta quella strana prospettiv­a di mezzo che parte da un presuppost­o. I giovani, per buona parte della società, sono i «bamboccion­i», gli «schizzinos­i», quelli che «ai miei tempi alla tua età si andava a lavorare». Che se l’alternanza scuola-lavoro bastasse a scansare questi facili pregiudizi, non resterebbe ombra di dubbio sulla sua validità. Entrare nel mondo del lavoro e farlo da giovani, oggi, significa voler bene a se stessi. Resta però un diritto. Il diritto di sbattere la porta. La facoltà di rifiutarsi di lavare i pavimenti come esperienza formativa se il tuo sogno è quello di diventare medico. Il poter dire di «no» a qualsiasi forma di sfruttamen­to spacciata per formazione. Non si tratta di essere schizzinos­i, o di non avere voglia di lavorare. È il sacrosanto diritto di arrabbiars­i, quando per andarsene, con stile, basta un semplice «grazie, ma io mi fermo qui, e torno a studiare». E i piatti sporchi li laverà qualcun altro.

(studente liceale)

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