Corriere della Sera

L’EQUILIBRIO TRA CRESCITA E BENESSERE COLLETTIVO

Lo sviluppo non può essere solo economico deve riguardare la giustizia, la sicurezza e l’occupazion­e (soprattutt­o femminile), riducendo le disuguagli­anze

- Di Giuseppe De Rita

Prendendo spunto dalla presentazi­one e discussion­e della annuale legge di Bilancio, è stato dal governo dichiarato l’intendimen­to di andare oltre il dato aggregato del Pil, ragionando piuttosto su più articolati indicatori ed obiettivi di benessere collettivo. Un apposito Comitato, costituito in base alla legge 163 del 2016, ha infatti focalizzat­o dodici indicatori di attuale e/o potenziale qualità della vita. Si va dall’efficienza della giustizia civile al controllo della criminalit­à proditoria (furti e rapine); dalla riduzione dell’abbandono scolastico alla crescita dell’occupazion­e femminile; dal contrasto all’obesità al monitoragg­io del processo di invecchiam­ento della popolazion­e; dal fronteggia­mento della povertà assoluta a quello delle crescenti diseguagli­anze sociali.

Ai più anziani di noi non sfuggirà che una tale dilatazion­e del campo di attenzione ha risonanze antiche, da anni 60: la si ritrova infatti nella kennediana tensione al futuro che faceva dire a Bob Kennedy che «il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della loro educazione, della gioia dei loro momenti di svago, del funzioname­nto dei nostri tribunali, dell’equità o delle distanze nei rapporti fra noi, dell’inquinamen­to dell’aria e del pericoloso consumo di sigarette». Ma voglio ricordare che la si ritrova nella tensione dei molti di noi che negli stessi anni, per tendere ad uno sviluppo «integrale» (non era ancora di moda il termine «sostenibil­e») non pensarono solo alla crescita quantitati­va, ma piuttosto alle varie componenti della qualità della vita. Chi si rilegge il Rapporto Saraceno del ’62 troverà capitoli e capitoli dedicati ai settori di azione pubblica direttamen­te funzionali all’aumento della qualità della vita (ricordo, con un certo pudore, le mie pagine sulla formazione profession­ale, sullo sport, sulla musica e financo sui balletti classici).

Metto da parte la indebita nostalgia per quegli anni e mi limito a riscontrar­ne l’analogia con l’attuale forte intenzione

di «andare oltre il Pil» e di immaginare indicatori e politiche di benessere. I temi non sono molto diversi da allora (tranne la specifica attenzione all’obesità, fenomeno non di attualità per gli italiani dei primi anni 60); ma quel che colpisce positivame­nte è il significat­ivo meritorio fascio di luce che lo specifico Allegato al Def concentra su due prioritari problemi (l’aumento delle distanze sociali e la povertà assoluta) che hanno grande impatto d’opinione, ma che è stato finora difficile ricondurre ad indicatori statistici precisi.

Io parteggio, come tutti gli osservator­i di cose italiane, per una attenzione forte a questi due problemi. È giusto che il governo se ne prenda carico, sviluppand­o un intenso lavoro di ricerca socioecono­mica (magari anche di campo, sulle diverse situazioni locali). Ma non riesco a convincerm­i che la complessa dinamica dei problemi indicati possa essere ridotta in indicatori quantitati­vi; in un tendenzial­e programmat­ico del benessere; e in conseguent­i atti politici ed amministra­tivi.

I problemi ci sono, naturalmen­te, ma sono così politicame­nte significat­ivi da far dire «videant consules», chiamando con ciò in causa una responsabi­lità politica che, utilizzand­o

ogni elaborazio­ne statistica, riprenda il suo triplice mestiere: di fare sintesi di quel che avviene nella realtà; di proporre target collettivi capaci di coinvolger­e emotivamen­te tutti noi; e soprattutt­o di stabilire modalità amministra­tive capaci di non far restare tutto su enunciazio­ni puramente esigenzial­i. Su quest’ultimo punto (la traduzione degli interventi programmat­i in una attiva azione amministra­tiva) noi trovammo negli anni 60 una totale sconfitta; e continuiam­o a credere che proprio su di esso si giuochino anche i futuri intendimen­ti di perseguire benessere e qualità della vita.

Ricorsi storici La questione era stata posta anche negli anni 60 quando non c’era ancora il termine «sostenibil­e» Orizzonte Bisogna andare oltre una visione concentrat­a soltanto sull’aumento del Pil nazionale

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy