Ambasciata della Repubblica di Polonia
La Polonia e la questione dell’antisemitismo Abbiamo letto l’articolo di Gian Antonio Stella (Corriere ,11 ottobre): sconcerto per i contenuti, stupore per le affermazioni e amarezza per le conclusioni, che non solo rilanciano un’antistorica accusa di antisemitismo, ma addirittura accostano la Polonia ai «volenterosi carnefici di Hitler». Sull’infondatezza di certe affermazioni, i fatti parlano da sé. I polacchi «Giusti tra le nazioni», sui 26.513 riconosciuti dallo Yad Vashem, sono 6.706: più di qualunque altra nazionalità(circa l’11% del mondo). La Polonia e i polacchi hanno combattuto contro i tedeschi e resistito alla tirannia nazista più a lungo di tutte le altre nazioni europee, dal primo giorno della guerra (1.09.1939) fino alla sua fine in Europa (8.05.1945). Sul territorio polacco occupato dai tedeschi nazisti non è mai esistito un solo centro che collaborasse con gli invasori. La Polonia, tra tutti i Paesi occupati dai nazisti, non ha dato un solo soldato al Reich, ma anzi ha annoverato ben 400.000 resistenti inquadrati nell’Armia Krajowa oltre a un esercito che ha combattuto al fianco degli Alleati, tra cui il II Corpo d’armata del generale Anders che ha contribuito a riconquistare la libertà e la democrazia all’Italia. Tra le tante croci dei cimiteri di guerra polacchi, e non solo a Montecassino, ci sono anche le Stelle di David dei soldati ebrei. E già questo rende inconsistenti le incomprensibili accuse ai polacchi sulle presunte «personali responsabilità nell’Olocausto» e addirittura di essere stati «al fianco dei nazisti» (formula assurda con la quale nei tribunali sovietici si condannavano spesso a morte i patrioti che non si piegavano a Stalin). Aggiungiamo che i primi a essere sterminati ad Auschwitz (e negli altri lager) furono proprio i polacchi, solo per il fatto di essere polacchi, e tra di essi anche tanti preti cattolici, per il solo fatto di essere preti e cattolici. Accusare la Polonia e i polacchi di «complicità» nella Shoah non è solo gratuito e falso, ma anche profondamente ingiusto, per la storia e per la dignità degli uomini, polacchi e non. Mai usata le parole «complicità» e «volenterosi carnefici di Hitler»: prego controllare. È lo storico polacco Jan Gross ad avere scritto il libro I carnefici della porta accanto. Che la Polonia nei rapporti con gli ebrei abbia fatto segnare ombre ma anche luci è nei fatti. Mai contestati. Ma la storia è riassumibile «tutta» nelle note dell’ambasciata? Fu il premier israeliano Yitzhak Shamir, un polacco sopravvissuto allo sterminio di tutta la sua famiglia a ricordare che «tre milioni di ebrei polacchi persero la vita durante l’occupazione nazista», che «solo in trecentomila riuscirono a salvarsi» e che «la popolazione locale in qualche caso cercò di aiutarli, ma furono in molti a collaborare con i tedeschi». E lo disse a Gerusalemme, circondato da altri sopravvissuti polacchi come Shimon Peres, davanti a Lech Walesa. Il quale, come presidente della Repubblica polacca, disse: «Ci sono stati polacchi che hanno aiutato gli ebrei. Altri scelsero il male. Qui in Israele, al cuore della vostra cultura e della vostra rinascenza, vi domando di perdonarci». Era il 1991. E il titolo della JTA, l’agenzia di stampa ebraica internazionale, fu: «Lech Walesa Implores the Knesset to Forgive Poland for Anti-semitism». Cioè «Lech Walesa supplica la Knesset di perdonare la Polonia per l’anti-semitismo». E il successore di Walesa, Aleksander Kwasniewski, capo di Stato per due mandati, andò successivamente a Jedwabne, il paese dove gli ebrei erano stati vittime d’uno spaventoso progrom scatenato dai compaesani, per inchinarsi: «Per questo crimine dobbiamo implorare il perdono alle anime delle vittime e i loro familiari». E ancora a Jedwabne si sarebbe poi recato il cardinale Jozef Glemp: «Anche noi polacchi non siamo esenti da colpe verso gli ebrei». Perché mai queste scuse, se tutti i polacchi hanno sull’antisemitismo la coscienza serena? (g.a.s.)