Preda e Fortebraccio, firme caustiche
Alcune delle Penne al vetriolo attraverso le quali Alberto Mazzuca racconta le vicende italiane dal 1945 ai nostri giorni, in un libro ponderoso e spassoso (Minerva, pp. 703, 19,50), godono ancora oggi di grande popolarità: Indro Montanelli, Giovanni Guareschi, Oriana Fallaci, Giorgio Bocca. Però ce ne sono altre di cui ci si ricorda meno. In particolare due firme, una donna e un uomo, collocate su posizioni politiche opposte, ma provenienti dalla stessa sanguigna regione dove è nato Mazzuca, l’Emilia Romagna.
Lei veniva da Coriano, presso Riccione, e si chiamava Maria Giovanna Pazzagli, sposata Predassi: non attraente ma di carattere energico, sarebbe assurta alla notorietà come Gianna Preda, fustigatrice spietata e maligna, sul «Borghese», del mondo progressista o anche solo centrista. La sua, diceva, era una «battaglia contro tutti gli smidollati del Paese». Sull’altro versante un cattolico di San Giorgio al Piano, in provincia di Bologna, ex deputato democristiano passato a una forma di comunismo colto e al tempo stesso pauperista. Mario Melloni per l’anagrafe, con lo pseudonimo di Fortebraccio avrebbe firmato a lungo il corsivo di prima pagina sull’«Unità», implacabile nel mettere alla berlina i politici avversi al Pci e più in generale i borghesi retrivi, derisi come «lorsignori».
Sono due facce di una faziosità all’italiana che ora è anche aumentata, complici la scomparsa della paciosa Dc e l’irrompere dei social network. Solo che un tempo a esercitarsi nella polemica di parte erano personaggi dotati di estro e acume, sospinti dalla passione. Oggi non si vedono equivalenti di Fortebraccio o di Gianna Preda: le ideologie si sono scolorite, la volgarità è cresciuta. Infatti l’ultimo capitolo del libro di Mazzuca s’intitola «Come prima, peggio di prima».