I giudici: «Il Dna inchioda Bossetti Ha ucciso Yara da vigliacco»
BERGAMO Un uomo e una tredicenne, l’assassino e la vittima. Massimo Bossetti, ergastolo confermato in appello, e Yara Gambirasio. La Corte d’assise d’appello di Brescia, nelle 376 pagine di motivazioni, ha definito l’omicidio di Brembate Sopra un fatto «posto in essere vigliaccamente nei confronti di una ragazzina giovanissima e indifesa, lasciata morire in preda a spasmi e inaudite sofferenze». Ha tracciato il profilo di un uomo che «dopo aver ucciso Yara, ha continuato a vivere con assoluta indifferenza rispetto al grave fatto commesso» e che a processo «ha continuato ostinatamente a negare il fatto assumendo la posizione di chi sfida l’inquirente a provare la sua colpevolezza». La prova regina resta il Dna dell’imputato trovato sugli slip e sui leggings della vittima, un dato su cui c’è «certezza» scrive la Corte, che esclude l’ipotesi contaminazione sostenuta dalla difesa. Ma c’è anche un ragionamento logico alla base della condanna: «Chi è Bossetti, dove abita, che mezzo usa, dov’era il pomeriggio e la sera del fatto?» si interrogano i giudici. Che rispondono: «Frequenta Brembate Sopra, svolge l’attività di muratore (su Yara è stata trovata polvere di calce ndr), si muove con un autocarro, non sa dire dove fosse il pomeriggio e la sera del fatto». L’autocarro che girava attorno alla palestra da cui sparì Yara, appunto. Il giudizio «prudente» del Ris di «identificazione probabile» viene modificato dalla Corte in «identificazione ragionevolmente certa». La Corte conferma il movente: «Può essere circoscritto nell’area delle avances sessuali respinte, della conseguente reazione unita al sicuro timore di essere riconosciuto».