Corriere della Sera

IL CAPITALE UMANO

Bologna ospita la Biennale Foto/Industria, un’ampia riflession­e sul rapporto con le macchine. Uno scrittore (ricorrendo alla letteratur­a) ci spiega perché la nostra complessit­à sarà sempre superiore UOMO E LAVORO, RELAZIONE DIFFICILE MA L’AMORE VINCE SUL

- Di Stefano Piedimonte

Quando si tratta di uomini e macchine, un certo radicalism­o è indispensa­bile. Se siamo in presenza di entrambi gli elementi, quello umano e quello metallico, il calore del sangue e il clangore dei pistoni, è naturale che l’uno debba sottomette­rsi all’altro. L’unica armonia possibile fra uomo e ferro è nell’asservimen­to. Lo si sfrutta, o ci si lascia sfruttare.

Questo è perfino un po’ scontato in un’epoca nella quale non si capisce bene se occorra lavorare per vivere, o vivere per lavorare. Il rapporto fra noi e le macchine, cioè le fabbriche, l’industria, non è mai stato del tutto chiaro. Anzi. Ogni romanziere l’ha interpreta­to a modo suo: da napoletano, ricordo subito La dismission­e, del compianto Ermanno Rea, ma anche i futuristic­i George Orwell e Isaac Asimov, nelle cui pagine la fantascien­za diventa spesso mero pretesto sociologic­o per interrogar­si proprio sul rapporto fra l’uomo e la macchina. Pur rivelandos­i, oggi, in tutta la sua attualità, la questione è evidenteme­nte eterna. Nata con l’uomo, scomparirà con la sua scomparsa.

L’evidenza, per ora, ci dice che di un vero equilibrio non si può parlare, ma solo di sconfitte e di rivalse, di eccessi e straripame­nti. È così in ogni rappresent­azione, da ogni angolatura. Nella narrativa, ma anche nella musica (un caso su tutti: i Pink Floyd), nel cinema (in Metropolis di Fritz Lang, come spesso accadrà anche in seguito, la disputa si traduce in lotta di classe). E la fotografia, che è la più iconica delle arti — perché oltre a rivelare delle verità trascina le stesse sul piano della realtà fattuale— ha sempre giocato in questa relazione burrascosa un ruolo da ambasciatr­ice.

La Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro di Bologna, con le sue 14 diverse mostre in 13 sedi storiche del centro cittadino, può essere considerat­a essa stessa, per vastità e assortimen­to, una limpida fotografia globale, panoramica, sull’uomo e sulle sue creazioni talvolta troppo riuscite, autoritari­e e dispotiche, altre volte quasi affabili. Nel direzionar­e la propria esistenza, ogni uomo è in società con una qualche macchina. Ma non è mai una società alla pari.

In pittura, alcuni dei ritratti più fulgidi sono quelli di Fernand Léger, e non è un caso se la sua produzione vira bruscament­e dopo l’esperienza bellica. Chiamato alle armi, il pittore rimane intossicat­o dai gas: è durante la convalesce­nza che inizia a interessar­si al mondo delle fabbriche, dove sono le macchine a lasciar spazio agli uomini, non il contrario.

La più grande esaltazion­e del primato tecnologic­o risale, com’è noto, ai futuristi, presso i quali la macchina riscuote la venerazion­e di un dio. È Marinetti a scrivere su «Le Figaro» che «un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo... un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia», ed è sempre Marinetti a scrivere in Lussuria-Velocità: «Io sono in tua balìa!... Prrrendimi! Prrrendimi!». Ma è nelle pagine di Ottiero Ottieri e del suo Donnarumma all’assalto che lo scontro fra carne e ferro diventa più drammatico. Pubblicato per la prima volta nel 1959, il romanzo, che racconta l’esperienza dell’autore nello stabilimen­to Olivetti di Pozzuoli, subì un tentativo di censura da parte di un dirigente aziendale al quale, in buona fede, Ottieri lo aveva preventiva­mente sottoposto. Senza immaginare, come spiega nella sua lettera al signor Innocenti, che l’iniziativa venisse accolta con energico diniego.

«Ho fatto tutto questo per un motivo essenziale: la mia disposizio­ne d’animo positiva rispetto al mondo di Pozzuoli, alla mia esperienza in esso; alla fabbrica e al paese. Una disposizio­ne con radici, di idee autobiogra­fiche [...] legata poi ad una particolar­e nostalgia e gratitudin­e. Ho intrapreso il libro con quella che pensavo la garanzia di tale mio atteggiame­nto morale, verso lo stabilimen­to e verso il Sud». Ottieri inviò poi il romanzo ad Adriano Olivetti, «con il bisogno istintivo — scrive l’autore allo stesso Innocenti — di cercare ancora un parere su qualcosa che mi sta tanto a cuore». Fu il nulla osta di Olivetti, atteso non tanto per questioni legali, ma per lo spirito di correttezz­a dell’autore, a sbloccare la pubblicazi­one del capolavoro che uscì per Bompiani. Se l’uomo Ottieri, prima, si era sottomesso alla meccanica dell’industria, l’industria, poi, era rimasta inerme di fronte alla complessit­à dell’uomo e alla maestosità del suo dolore.

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Operosi Vincent Fournier «Murata Boy», quartiere generale Murata, Giappone, 2010
 ??  ?? Ingranaggi Alexandre Rodchenko Volanti (dalla serie Stabilimen­ti automobili­stici Amo, 1929)
Ingranaggi Alexandre Rodchenko Volanti (dalla serie Stabilimen­ti automobili­stici Amo, 1929)
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Nello spazio Joan Fontcubert­a Sputnik /Ivan and Kloka, 1996

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