Corriere della Sera

Gentiloni all’oscuro E Padoan: «Dimmi che non è vero»

Lo spettro dell’attacco di Andreotti a Baffi e Sarcinelli e i casi Popolare ed Etruria

- Di Francesco Verderami

L’hanno visto furibondo, attaccarsi al telefono e urlare con Gentiloni: «Dimmi che non è vero». Abituato ai ritmi e ai riti del Fondo monetario, nonostante gli anni passati sull’ottovolant­e accanto a Renzi, il ministro dell’Economia non ci voleva credere: «Non ci credo, Paolo, non ci credo».

Padoan aveva trovato il premier già impegnato ad attutire l’effetto deflagrant­e della mozione con cui il segretario del Pd stava tentando alla Camera di affossare Visco. Nemmeno il capo del governo ci credeva: era stato tenuto all’oscuro di tutto. E come Palazzo Chigi, erano stati colti in contropied­e anche il Colle, Bankitalia, l’Eurotower e persino Berlusconi.

Tutti d’altronde, nei giorni scorsi, si erano ritrovati concordi nel voler procedere alla riconferma di Visco a Palazzo Koch. Al punto che il presidente della Commission­e d’inchiesta sulle banche, Casini, attendeva l’ufficialit­à del rinnovo prima di procedere con le audizioni. Può darsi che la mossa di Renzi fosse dettata dall’obiettivo di rompere in pubblico un accordo che — come sempre accade — era stato costruito nella riservatez­za. Può darsi che così volesse spezzare l’accerchiam­ento su un nome contro il quale si era speso. Può darsi davvero che nel governo solo il sottosegre­tario Boschi sapesse dell’iniziativa...

Sta di fatto che, resosi conto dell’operazione, il primo atto di Gentiloni era stato chiamare Mattarella, a cui spetta peraltro la nomina del governator­e su proposta del Consiglio dei ministri. Il muro alzato dal Quirinale a fronte della mozione del Pd non lasciava adito a fraintendi­menti: nessuna rabberciat­a correzione del testo parlamenta­re avrebbe fatto cambiare idea al capo dello Stato. Semmai il blitz avrebbe finito per evocare — nelle febbrili conversazi­oni che si sarebbero succedute a stretto giro tra istituzion­i nazionali e internazio­nali — lo spettro degli attacchi di Andreotti a Baffi e Sarcinelli.

Il ricordo di quel drammatico passaggio, superato il senso di stupore collettivo, motivava una risposta immediata e altrettant­o collettiva: «Bankitalia non si tocca». Anche perché il fatto che fosse stato il partito di governo a muovere contro il governator­e, esponeva sui mercati il sistema italiano, di per sé fragile. Perciò l’atteggiame­nto era ritenuto «irresponsa­bile», l’«ennesimo tentativo» di vendicarsi per l’affaire Banca Etruria. «Ennesimo» siccome il primo era stato la

nascita della Commission­e d’inchiesta, voluta da Renzi malgrado il Quirinale — a più riprese — lo avesse esortato a non procedere.

Il punto è che il segretario del Pd è stanco di dover pagare il conto, «di vedere scaricati su di me e sul governo che ho presieduto i problemi bancari nati molti anni prima, sul finire

dello scorso decennio, quando le banche andarono fuori dai parametri senza che le autorità intervenis­sero». Un’accusa pesante che mira a Visco e va anche oltre. «Sta a vedere che finiremo per rompere le scatole pure a chi sta salvando l’Italia», disse in quel frangente il centrista Cicchitto, alludendo a Draghi. Nel tempo, la natura e

la portata politica della Commission­e d’inchiesta avevano perso l’impatto iniziale. La scelta di Casini come presidente della bicamerale era stato un chiaro segnale di appeasemen­t.

Ieri invece la fiammata, il «colpo al santuario», come il leader del Pd definisce Bankitalia. Una posizione che a suo

giudizio lo allinea al sentimento popolare e che annuncia una campagna elettorale aggressiva: «Se Gentiloni vuole riconferma­re Visco faccia pure». È l’estremo tentativo di togliersi una scomoda etichetta. Perché nell’immaginari­o collettivo le banche sono il tallone d’Achille di Renzi, come le tv lo erano per Berlusconi. Una condizione che l’ex premier considera «ingiusta e insopporta­bile».

Ma il blitz ha un costo, mostra il leader democrat isolato rispetto ai vertici istituzion­ali. E il rischio che l’establishm­ent internazio­nale — dalle cancelleri­e europee fino all’Eurotower — lo consideri inaffidabi­le, può segnare la sua corsa verso le urne. «Quando si tocca l’impianto elettrico è prudente assicurars­i di togliere prima la corrente», commentava ieri il leghista Giorgetti, che pure non lesina critiche a Visco. Il problema per Renzi non è se il governator­e verrà confermato, il problema è come gli ha mosso guerra.

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La riunione La prima convocazio­ne della Commission­e parlamenta­re bicamerale d’inchiesta sulle banche il 27 settembre scorso a Roma, presieduta da Pier Ferdinando Casini

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