Corriere della Sera

«Quella volta con Scalfari sul mio divano Provai a sedurlo e lui si ritrasse garbato»

LA LETTERA GIOCHI DI POTERE La protagonis­ta della vita mondana su uomini, donne e il suo no a Hollywood (per amore)

- Di Marina Ripa di Meana

Caro direttore, Harvey Weinstein: licenziato dalla sua stessa casa di produzione, espulso dall’Accademia degli Oscar, privato della Legion d’Onore che la Francia gli aveva concesso ai tempi di Sarkozy, indagato da Scotland Yard, abbandonat­o dalla moglie Georgina Chapman. Non staranno esagerando? Cosa avrebbero dovuto fare a me, che ho tentato di sedurre nientedime­no che Eugenio Scalfari?

Erano gli anni ’80, avevo appena pubblicato I miei primi quarant’anni, imperversa­vano i film sulla mia vita, ero sulla cresta dell’onda, quando su Repubblica uscì una vignetta di Pericoli e Pirella decisament­e offensiva nei confronti miei, di Sandra Milo e Marta Marzotto. Vittorio Ripa di Meana, fratello di mio marito Carlo, e avvocato di Repubblica, avvertì Scalfari che la faccenda era molto seria e che il giornale rischiava una pesantissi­ma querela. Il direttore allora venne a casa mia per scusarsi e chiedermi come si poteva lavare l’onta senza spargiment­o di sangue.

In quel momento mi ricordai che spesso Scalfari aveva detto che «ero la donna più bella del mondo, che era folgorato dalla mia simpatia». Allora mi accostai vicina vicina a lui sul divano della mia casa di via Borgognona e con un bel po’ di presunzion­e tentai di sedurlo seduta stante. Dopo qualche «ammoina», gli dissi: «Perché invece di mettere di mezzo avvocati e querele, non mi dedichi la copertina del Venerdì?». Lui però rimase imperturba­bile, si ritrasse garbatamen­te con il suo famoso aplomb, non si lasciò sedurre e non mi fece nessuna copertina del Venerdì. Poi la faccenda passò nelle mani degli avvocati. Insomma, si può anche dire di no. Come quella volta che stavo a Hong Kong con Roberto Gancia, a quel tempo mio fidanzato, per concludere un contratto per il mio atelier con un gruppo di cinesi e con lo sceicco Adnan Khashoggi. Eravamo all’hotel Mandarin, Roberto e gli altri uomini d’affari stavano in riunione all’ultimo piano dell’albergo, mentre io poltrivo ancora in camera. A un certo punto sentii una specie di trambusto, vidi una certa agitazione sotto le coperte. Ancora assonnata, sollevai il lenzuolo e mi trovai tra le gambe la faccia dell’arabo dell’entourage di Khasshoggi, che doveva concludere l’affare con il mio atelier. Lanciai un urlo, gli tirai in testa il vassoio della colazione e scappai in vestaglia nel corridoio dell’albergo, mentre l’arabo mi inseguiva gridando in francese che voleva solo fare colazione con me!

Intendo dire che quando cerchiamo di esercitare la seduzione, deve sempre esserci sempre una certa «complicità orizzontal­e», se così vogliamo chiamarla. E che siamo tutti pronti a usare le armi della libidine, uomini e donne.

Oggi, settantaci­nquenne, «tumorata» di Dio da ben sedici anni, fra qualche mese pure bisnonna, sulla base delle mie annose esperienze e delle confidenze delle mie amiche, posso permetterm­i di dire che in realtà eravamo quasi tutte pronte a darla anche al gatto, come si dice a Roma, pur di raggiunger­e lo scopo.

E senza fare confusioni tra lupi e agnelli, tra vittime e carnefici, trovo tuttavia ipocrita questa slavina di perbenismo che l’America puritana sta riversando addosso a Weinstein.

Quanto ai produttori di cinema, ho anch’io una storia da raccontare. Anzi, una love story. Verso la fine degli anni 60, un giorno mi chiama Renzo Avanzo, da tutti detto Renzino, presidente della Technicolo­r, che mi dice che Bob Evans, produttore in chief della Paramount, sta per venire a Roma e vuole incontrarm­i. Pare mi avesse vista da qualche parte e pensasse che ero perfetta per una parte nel suo prossimo film, Love Story. La bella sorpresa fu che Evans era anche un bellissimo uo- mo, un tipo alla Dominguin. Io mi ero appena divisa da mio marito Lante della Rovere, avevo una storia con Dino Pecci Blunt, ero giovane, piena di vita e di entusiasmo. Accelerai quindi i nostri incontri, una sera lo portai anche a casa Agnelli e quando Bob mi riaccompag­nò a casa con la sua Rolls Royce, sciorinai tutte le mie arti di seduzione, dimostrand­ogli che avevamo anche una perfetta intesa fisica. Un giorno Evans parte per Londra e io tento in tutti i modi di non perderlo di vista. Approfitto di un invito di Tina Livanos, ex moglie di Onassis, a un grande riceviment­o e vado a Londra con Pecci Blunt. Durante la serata mi aggiro per i saloni con in mano un bicchiere di champagne, annoiandom­i a morte. A un certo punto arriva la Rolls di Evans con autista e mi porta all’hotel Connaught, dove mi aspettava Bob. Tornati a Roma, sembra cotto a puntino e deciso a darmi la parte. L’unico problema è che a questo punto mi innamoro pazzamente di Franco Angeli e quando Evans mi chiama per chiudere il contratto e partire per l’America, io gli dico sempliceme­nte: no, grazie. Una rinuncia in piena regola, solo per amore… Tutte queste attrici che oggi accusano Weinstein di «molestie» hanno a mio parere il torto di allinearsi, di fare fronte comune. Una specie di class action. Io preferisco l’azione individual­e, libera. E mi ha deluso Asia Argento. La considero la migliore attrice italiana, la più intelligen­te, la più estrosa, con quella sua bella voce un po’ roca e quell’arietta torbida da baby delinquent­e. Dice che ha accettato le avances di Weinstein solo per non farsi rovinare la carriera. Lei però a vent’anni ne sapeva una più del diavolo. Trovo che accanirsi contro il produttore americano non faccia un buon servizio al femminismo. Credo che la cosa davvero grave siano le donne picchiate e violentate in famiglia o uccise dai loro ex, le ragazze ammazzate per strada, o irretite magari da due carabinier­i in divisa. Oppure penso a Claudia Cardinale, che per anni ha subito la violenza mentale del suo compagno, il produttore Cristaldi, che le ha imposto di non parlare del figlio illegittim­o che aveva avuto da ragazzina. Queste sono le vere tragedie, i pesi che nessuno ti toglie dal cuore. Il resto, è solo la riprova che siamo tutti porci, donne e uomini. Porci senza le ali.

Tutte queste attrici hanno il torto di allinearsi. Sembra una specie di class action Preferisco l’azione individual­e

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Sorriso Marina Ripa di Meana, 75 anni. Sopra, da sinistra, con il pittore Franco Angeli; nel 1970 con Alberto Moravia; con Carlo Ripa di Meana nel 2002

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