Corriere della Sera

La posta in gioco dei referendum

Sono 23 le competenze su cui Lombardia e Veneto potrebbero aprire una trattativa con lo Stato Il nodo del residuo fiscale

- Massimo Rebotti Andrea Senesi

I referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto ruotano attorno a due parole: poteri e risorse.

Il merito

Con il voto di domenica 22 ottobre in gioco ci sono le competenze su 23 potenziali materie e qualche decina di miliardi di euro. La Carta indica 20 funzioni di competenza concorrent­e (e altre tre «negoziabil­i»). Dai giudici di pace ai rapporti internazio­nali delle Regioni, dalla protezione civile al commercio con l’estero, dalla distribuzi­one dell’energia alle casse di risparmio, dalla tutela dell’ambiente ai beni culturali. Un menu potenzialm­ente ricchissim­o, così ricco da richiedere che almeno la metà dei rispettivi residui fiscali venga restituito (o mantenuto) ai territori.

Il residuo fiscale

È il nodo politico dei referendum. I due governator­i che hanno promosso i quesiti, i leghisti Roberto Maroni e Luca Zaia, hanno individuat­o il nemico numero uno nella differenza cioè tra quanto un territorio versa in tasse e tributi allo Stato centrale e quanto ne riceve indietro in servizi. Per la Lombardia l’indice è calcolato in 52 miliardi di euro (56 secondo le ultime stime della Regione), per il Veneto in 15 (al secondo posto c’è l’Emilia-Romagna). Per abbattere questa cifra i referendar­i sostengono che la via sia quella, tracciata dalla Costituzio­ne, di una maggiore autonomia in fatto di competenze e funzioni.

Dopo il voto

Se ci fossero tanti sì (e in Veneto, essendo previsto da statuto il raggiungim­ento del quorum, anche il 50 per cento più uno dei votanti) le due Regioni dovrebbero intavolare una trattativa, che dovrà poi sfociare in una legge ad hoc, per ottenere la gestione di quante più materie possibili nel pacchetto di

Le cifre Per la Lombardia il residuo fiscale è a quota 52 miliardi, per il Veneto a 15

quelle «trasferibi­li». Secondo Stefano Bruno Galli, politologo e ideologo dell’autonomism­o maroniano «il punto è proprio di rinegoziar­e un rapporto più equo tra centro e periferia. Siamo i più vessati d’Europa, nessuna capitale si accanisce in maniera così predatoria come fa Roma coi suoi territori».

Gli schieramen­ti

L’abbattimen­to del residuo fiscale è però materia scivolosa, contestata anche da chi a sinistra ha scelto di schierarsi a favore delle ragioni dell’autonomism­o. I sindaci delle più importanti città lombarde, in testa il milanese Beppe Sala e il bergamasco

Giorgio Gori, sostengono il sì «nonostante le mistificaz­ioni leghiste sulle tasse». «Non è vero che col referendum si ottengono benefici fiscali, ma anche l’obiettivo sarebbe di per sé sbagliato», ha osservato di recente il costituzio­nalista Valerio Onida: «Salterebbe­ro per aria l’unità nazionale e la solidariet­à verso i territori meno ricchi». In Veneto — dove, come in Lombardia, i gruppi dirigenti dem sono schierati per l’astensione — 39 amministra­tori del Pd hanno firmato un documento a favore.

I rapporti con lo Stato

Non si litiga solo sui soldi. Maroni e Zaia vanno ripetendo che la legittimaz­ione popolare porterà maggiori competenze praticamen­te su tutto. Sul sito della Lombardia si raccomanda il sì anche per «esercitare un’energica azione politica per ottenere un’ancora più ampia competenza in materia di sicurezza, immigrazio­ne e ordine pubblico». Competenze che la Costituzio­ne assegna però in via esclusiva allo Stato centrale. «Fake news», ha attaccato Gori, l’uomo che tra pochi mesi sfiderà Maroni nella corsa alla presidenza della Lombardia.

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Fonti: Istat e CGIA di Mestre

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