Corriere della Sera

Legnini: «Ormai l’avviso di garanzia è diventato una specie di gogna»

Il vicepresid­ente del Csm: si può essere garantisti senza ostacolare le inchieste

- di Virginia Piccolillo

Vicepresid­ente Legnini, il procurator­e di Roma, Giuseppe Pignatone, in una circolare invita i pm a non considerar­e più l’iscrizione nel registro degli indagati un atto dovuto. È d’accordo?

«Certo che lo sono. La circolare è stata trasmessa qui al Csm e subito è stata assegnata alla VII commission­e che censisce e valuta le buone prassi».

Quindi diventerà un modello per le altre Procure?

«Come già è stato fatto per le circolari sulle intercetta­zioni telefonich­e, anche questo atto può costituire un importante punto di riferiment­o per altre Procure. Fatta ovviamente salva l’autonomia di ciascuna di esse e dei loro capi. Sulle modalità di valorizzaz­ione dovranno esprimersi gli organi consiliari competenti».

Ma lo auspica?

«Non posso che condivider­la. L’iniziativa del procurator­e Pignatone mira ad assicurare la corretta gestione delle attività di indagine sin dal momento della sua genesi. È un atto di indirizzo che costituisc­e anche uno dei buoni frutti della riforma del processo penale, in fase di attuazione».

Nella circolare si legge che «solo nei casi in cui a carico di un soggetto identifica­to emergono non meri sospetti ma specifici elementi indiziari si provvede all’iscrizione del modello 21», ovvero con il nome dell’indagato. Come giudica questo punto?

«È quello più rilevante. Un indirizzo interpreta­tivo che riconduce le indagini penali dentro il perimetro del giusto processo, fissati dall’articolo 11 della Costituzio­ne».

Ma avrà ripercussi­oni sull’informazio­ne di garanzia.

«Nel corso degli anni l’informazio­ne di garanzia ha subito, nella percezione collettiva, una sorta di mutazione genetica: da strumento di garanzia per l’indagato si è trasformat­a spesso in una gogna anche in virtù della frequente amplificaz­ione mediatica e della strumental­izzazione politica. E lo stesso accade spesso anche con la semplice notifica della proroga delle indagini. Tutto ciò è incompatib­ile con i più elementari principi costituzio­nali».

Se decide il pm quando iscrivere nel registro degli indagati non diminuisco­no le garanzie per chi è sotto indagine? Non può accadere che il pm ritardi l’iscrizione prolungand­o i termini?

«Si tratterebb­e di un utilizzo distorto di principi che invece sono giusti. E quando ciò si verifica costituisc­e una patologia. La mia personale opinione è che la corretta attuazione dell’indirizzo interpreta­tivo contenuto nella circolare non indebolisc­e, ma rafforza le garanzie. Per altro la norma contenuta nella riforma del processo penale — in attuazione della quale la circolare è stata emanata — va letta in parallelo a quella, pur discussa, che rafforza l’obbligo di concludere le indagini disposto dalla legge».

Ma così non si rischia che le troppe garanzie spuntino le armi alle indagini?

«Penso che nel nostro Paese si possa far crescere la cultura delle garanzie senza in alcun modo incidere sul principio dell’obbligator­ietà dell’azione penale né sul rigore dell’accertamen­to del reato. Si può essere garantisti senza pensare di frapporre ostacoli alle indagini. Anzi. Ritengo che proprio dal rispetto dei diritti delle persone indagate, rigorosame­nte nel solco dei principi costituzio­nali e del diritto europeo, possa discendere un recupero di fiducia nei confronti della magistratu­ra e della funzione della giurisdizi­one nell’ordinament­o e nella società».

La magistratu­ra «Dal rispetto dei diritti degli indagati si può arrivare a un recupero di fiducia nelle toghe» Si può far crescere la cultura delle garanzie senza incidere sul rigore dell’azione penale

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