Corriere della Sera

LA CONFUSIONE POLITICA CONSEGUENZ­A INEVITABIL­E

Se si andasse a votare con la normativa approvata alla Camera, andremmo incontro a un governo di coalizione di eterogenee coalizioni

- Di Michele Salvati

Molto probabilme­nte andremo a votare in marzo con la legge elettorale da poco approvata alla Camera e in attesa di essere approvata in Senato. È una legge che prevede l’elezione di un terzo dei parlamenta­ri in collegi uninominal­i, dove prevale il candidato che ha preso un voto in più degli altri, e in ciò sta il suo aspetto maggiorita­rio, disproporz­ionale, perché i voti ottenuti dagli altri candidati vanno persi. Proporzion­ale è invece l’assegnazio­ne di seggi ai singoli partiti per il restante due terzi dei parlamenta­ri. Per far prevalere un candidato nei collegi uninominal­i i partiti hanno un forte interesse a coalizzars­i e a scegliere un candidato comune, come avveniva nel Mattarellu­m: di fatto ci saranno dunque coalizioni cui sarà in prima istanza intestata la somma dei seggi ottenuti nei collegi uninominal­i e di quelli ottenuti dai singoli partiti nella parte proporzion­ale del sistema. Stando ai sondaggi prevalenti, sembra oggi impossibil­e che un singolo partito non coalizzato (i 5 Stelle?) o una singola coalizione (centrodest­ra o centrosini­stra?) ottenga una maggioranz­a assoluta di seggi sia alla Camera che al Senato. Sicché un governo, se poi sarà possibile, dovrebbe essere sostenuto da una... coalizione di coalizioni. Ora, non soltanto le coalizioni sono eterogenee tra loro negli orientamen­ti politici di fondo (i programmi, per quel che possono valere in questo contesto, ancora non sono noti), ma sono forse ancor più eterogenee al loro interno: per dare un esempio sul lato del centrodest­ra — l’unico che ha sinora annunciato, se pure non ufficialme­nte, la coalizione con cui intende presentars­i — si pensi alle differenze tra Forza Italia, associata al Partito popolare europeo, e la Lega, la cui affinità con il partito di Marine Le Pen è vantata con orgoglio da Matteo Salvini.

Sembrerebb­e non esserci alcuna via d’uscita se le singole coalizioni dovessero «tenere», votare compatte in Parlamento. Ma è possibile che l’eterogenei­tà interna delle coalizioni sia in grado di risolvere il problema prodotto dall’eterogenei­tà tra le coalizioni: i parlamenta­ri eletti in un partito «coalizzato» mica sono obbligati a restare fedeli alla coalizione, o, se per quello, al loro stesso partito. Le coalizioni all’italiana sono, quale più, quale meno, espedienti elettorali per catturare voti, che poi saranno giocati in Parlamento secondo valutazion­i individual­i (dei singoli Errori Tutti abbiamo fatto molto, anche se con diverse responsabi­lità: nessuno è innocente

parlamenta­ri) e collettive (dei singoli partiti). Valutazion­i non motivate soltanto dall’interesse personale, e quasi sempre rese necessarie dalla frammentaz­ione del nostro sistema politico. Quando i capi-coalizione asseriscon­o che mai si accorderan­no per il governo con coalizioni e partiti avversari, essi consideran­o o solo il caso in cui, sia alla Camera che al Senato, possono disporre di una maggioranz­a assoluta, o si impegnano a rendere impossibil­e qualsiasi governo. Il primo caso è, alla luce degli attuali sondaggi, del tutto improbabil­e: come ha mostrato D’Alimonte con il suo «pallottoli­ere» (Sole 24 Ore, 15 ottobre), esso implica maggioranz­e tra il 55 e il 70% o oltre strappate nei collegi uninominal­i e, insieme, percentual­i tra il 45 e il 50% o oltre ottenute nel proporzion­ale. Il secondo caso ci condurrebb­e a nuove elezioni, e non è detto che sarebbero risolutive, al di là dei rischi di attacchi speculativ­i contro il nostro debito pubblico e le nostre banche che esse comportere­bbero.

La conclusion­e è allora ineludibil­e, e cito ancora D’Alimonte: «Il prossimo governo dovrà necessaria­mente nascere dalla scomposizi­one delle coalizioni che si presentera­nno davanti agli elettori e dalla loro ricomposiz­ione in una maggioranz­a di governo che non corrispond­erà alle solenni promesse fatte agli elettori al momento del voto». Mi viene in mente una vecchia espression­e spagnola: «Che cosa abbiamo fatto per meritarci questo?». Tutta questa confusione? Abbiamo fatto molto, ci siamo messi d’impegno. Tutti, anche se con diverse responsabi­lità ed errori, e nessuno è in fondo innocente. Sono responsabi­li quei politici che hanno costruito il loro successo assecondan­do l’indignazio­ne popolare oppure fornendo ad essa buone giustifica­zioni. Sono responsabi­li le classi dirigenti del settore pubblico e privato che non hanno fatto fino in fondo il loro mestiere e, insieme ai politici, hanno condannato il Paese al ristagno. Sono responsabi­li gli intellettu­ali che sono stati incapaci di rendere egemone una visione realistica dei nostri problemi, schiavi di visioni ed analisi obsolete e ideologich­e. Metto per ultimo il popolo, la gran massa degli elettori, e non perché sia innocente: siamo in democrazia e le élite hanno sempre goduto del consenso popolare. Ma perché è quello che, nell’insieme, pagherà più caro il prezzo dell’attuale confusione politica.

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