Corriere della Sera

LA LEGGE SUL FINE VITA UNA SCELTA DI DIGNITÀ

- di Elena Cattaneo, Mario Monti, Renzo Piano e Carlo Rubbia

Caro direttore, da più di cinque mesi il disegno di legge sul «testamento biologico» è impantanat­o nella Commission­e Sanità del Senato. Nonostante tutti i sondaggi fatti sul tema dimostrino, da almeno un decennio, il consenso di un’amplissima maggioranz­a di italiani, tremila emendament­i (in massima parte ostruzioni­stici) e discussion­i infinite ostacolano la definitiva approvazio­ne di una legge che non è di destra, di centro o di sinistra, ma che senza distinguo, dando valore alla volontà di ciascuno, tutela la dignità di tutti.

Il cosiddetto testamento biologico non rappresent­a più, da tempo, la frontiera «divisiva» dei «nuovi» diritti civili. Non lo è più da ventisette anni negli Stati Uniti, dove il dibattito sul «Living will» è iniziato quasi quarant’anni fa nelle Corti dei vari Stati, nella Corte suprema e nella società civile, per poi culminare con l’adozione del Patient Self Determinat­ion Act del 1990; non lo è più neanche, almeno da dieci anni, nella maggior parte dei Paesi europei, dove ormai il valore giuridico vincolante di un testamento biologico fa parte del corpus dei diritti civili minimi del cittadino.

In Italia, benché se ne dibatta da decenni, il tema sembra condannato ad essere gestito nei processi, dai tribunali, dai singoli magistrati, in continua supplenza di una politica incapace di fare quel che le è proprio, il legislator­e.

La nazione culla del diritto non riesce a dare ai suoi cittadini una cornice giuridica certa in cui poter esercitare le proprie scelte, liberament­e e responsabi­lmente, su una materia personalis­sima di libertà individual­e, nonostante, come osservava il Presidente emerito Giorgio Napolitano nel maggio 2017, il provvedime­nto in discussion­e «risponda a sentimenti e sensibilit­à ormai prevalenti nella nostra società».

Mentre il resto del mondo sviluppato dibatte di ulteriori forme di disciplina della materia, il nostro Paese resta orfano di quella che è ormai una soglia minima di regolament­azione sul diritto alle disposizio­ni anticipate di trattament­o. Non è più ammissibil­e, dopo i casi Englaro, Welby, Nuvoli e migliaia di altri meno noti, ma altrettant­o degni di consideraz­ione, che i cittadini italiani non possano scegliere, facendo affidament­o sulla chiarezza di una legge, come autodeterm­inarsi in una questione fondamenta­le, letteralme­nte di vita e di morte, che riguarda ognuno di noi.

Quella del fine vita è una questione di libertà, di rispetto della volontà, di dignità del vivere e del morire che dev’essere lasciata quanto più possibile alla scelta di ciascuno. Come Senatori a vita, chiamati ad esercitare un ruolo il più possibile libero da ogni condiziona­mento, appartenen­za o calcolo, crediamo che questo Parlamento onorerebbe il Paese se, adottando in Senato senza modifiche il testo già approvato dalla Camera, trattasse i suoi cittadini da adulti, lasciando loro a fine legislatur­a, come un prezioso legato, il riconoscim­ento di questo spazio incomprimi­bile di libertà e responsabi­lità.

Tutto fermo La presidente De Biasi si è dimessa da relatore del provvedime­nto Questione di civiltà Il nostro Paese è orfano di quella che è una soglia minima di regolament­azione

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