Corriere della Sera

Sequestro Moro ancora misteri: l’ultimo latitante

Casimirri, trovato un documento nell’archivio dei carabinier­i. Fuggì in Nicaragua nell’83

- Di Giovanni Bianconi

Un mistero: l’ex brigatista Alessio Casimirri, uno dei componenti del comando che rapì Aldo Moro, fu fermato dai carabinier­i — quando era già ricercato — fotosegnal­ato e poi rilasciato. La conferma dagli archivi del Comando dei carabinier­i di Roma.

La vita avventuros­a dell’ex brigatista rosso Alessio Casimirri — uno dei dieci componenti del commando che rapì Aldo Moro in via Fani, il 16 marzo 1978, oggi sessantase­ienne cittadino nicaraguen­se — s’è dipanata tra i giardini vaticani dove giocava da bambino, la lotta armata praticata negli anni Settanta e il rifugio centro-americano dove vive dal 1983. Mai passato da una prigione; unico tra i sequestrat­ori del presidente della Democrazia cristiana ad aver evitato l’arresto. Una inafferrab­ile «primula rossa», intorno alla quale si sono costruite ipotesi più o meno fondate, e persino leggende. Alimentate prima dall’essere figlio e nipote di alti funzionari della Santa Sede, con tanto di prima comunione ricevuta dalle mani di Paolo VI, e poi dalle presunte protezioni garantite dal governo sandinista in Nicaragua.

Nome già noto

Oggi però, dagli archivi del Comando provincial­e dei carabinier­i di Roma, spunta un documento che rappresent­a un mistero autentico, e ripropone gli interrogat­ivi sull’ex terrorista ancora uccel di bosco. È un cartellino fotodattil­oscopico utilizzato per identifica­re le persone, saltato fuori dalle ricerche ordinate dall’ultima commission­e parlamenta­re d’inchiesta sul sequestro e l’omicidio Moro. La data dell’avvenuto accertamen­to è il 4 maggio 1982, quando a carico di Casimirri pendevano due mandati di cattura per associazio­ne sovversiva e partecipaz­ione a banda armata, accusa debitament­e annotata sul cartellino. E alla voce «motivo del segnalamen­to» il compilator­e tuttora anonimo (c’è una firma illeggibil­e) scrisse «arresto». Ufficio segnalator­e: una serie di abbreviazi­oni che stanno a significar­e «Reparto operativo carabinier­i Roma».

Logica vorrebbe che per Alessio Casimirri — un nome all’epoca già iscritto sulla rubrica delle frontiere, come persona da fermare in caso di tentativo di espatrio — quel giorno si fossero aperte le porte del carcere. Invece così non è stato. Non risulta che l’allora militante delle Br dal nome di battaglia «Camillo» (altro particolar­e segnalato sul cartellino) abbia mai messo piede in una cella. Perché? Com’è possibile che un ricercato venga fermato e fotosegnal­ato, ma poi liberato?

Dubbi e anomalie

Dell’operazione non c’è traccia in nessun altro documento giudiziari­o, e alla data del 4 maggio ’82 non si hanno notizie del suo fermo né di altri terroristi. Un arresto fantasma, insomma; certificat­o da un documento apparentem­ente autentico, senza che si sia mai realmente verificato.

L’apparenza dell’autenticit­à deriva dal fatto che il cartellino è di quelli effettivam­ente in uso, nel 1982, alle forze di polizia, ma nella compilazio­ne ci sono alcune anomalie. La più evidente sta nella foto: non è di quelle normalment­e scattate negli uffici investigat­ivi, su tre lati (di fronte, fianco destro e fianco sinistro, accanto al misuratore di centimetri che stabilisce l’altezza) bensì è un’unica fototesser­a, trovata probabilme­nte a casa di Casimirri durante una perquisizi­one (senza esito, lui non c’era) effettuata durante i giorni del sequestro Moro, il 3 aprile ’78. Perché? L’indicazion­e del falso nome «Camillo» è di provenienz­a ignota, e le dieci impronte digitali delle due mani impresse su entrambe i lati non si sa di chi siano: per procedere a un confronto la commission­e Moro ha chiesto alle autorità nicaraguen­si, tramite canali diplomatic­i, il recupero di quelle autentiche, ma la risposta (chissà quanto credibile) è che non le hanno. Nello spazio riservato alla firma della persona segnalata, il carabinier­e compilator­e scrisse «si rifiuta», e dunque non c’è nemmeno la possibilit­à di perizie calligrafi­che.

La lettera di Fioroni

Tutto questo alimenta il mistero: si trattò di un’operazione interrotta (dopo il fermo qualcuno intervenne per lasciare andare Casimirri), di cui qualche zelante militare volle comunque dare atto lasciando una traccia rimasta sepolta in un archivio per 35 anni? Oppure

I dubbi Il cartellino è uguale a quelli in uso all’epoca, ma la foto non è scattata su tre lati

è un falso costruito apposta? Ma da chi, quando e con quali finalità? Sono domande che autorizzan­o a riproporre i molti enigmi maturati intorno all’ultimo latitante del «caso Moro»; compreso quello, rimasto senza riscontri, a cui accennò l’ex pubblico ministero Antonio Marini alla commission­e stragi nel 1995, quando riferì la voce secondo cui l’ex br sarebbe stato un informator­e di un ex capitano dei carabinier­i (poi identifica­to nel generale Antonio Delfino, morto nel 2014) che l’avrebbe passato al Sismi, il servizio segreto militare. Teorie mai verificate, che tornano d’attualità con la prova dell’arresto fantasma.

Per adesso il presidente della commission­e Moro, Giuseppe Fioroni, si è limitato a scrivere una lettera al presidente del Consiglio Gentiloni, e ai ministri Alfano, Minniti e Orlando, per sottoporre nuovamente al governo la necessità di «promuovere l’estradizio­ne del latitante Alessio Casimirri». Fioroni ricostruis­ce la sua carriera di estremista e brigatista, avanza «ampi dubbi sulle protezioni di cui egli poté eventualme­nte godere», e cita il mistero del fermo per sostenere che «poté sottrarsi alla giustizia grazie al concorso di una rete di complicità che la Commission­e sta cercando di ricostruir­e».

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 ??  ?? Il cartellino Il documento su Casimirri datato 4 maggio 1982 in cui vi è annotata la parola «arresto»
Il cartellino Il documento su Casimirri datato 4 maggio 1982 in cui vi è annotata la parola «arresto»

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