L’autonomia piace a tutti (solo a parole)
Riflettori sull’affluenza. Berlusconi: poi in tutta Italia. Polemica Zaia-governo sui soldi per l’ordine pubblico
«Lombardia e Veneto saranno un paradiso», giurò mesi fa Bobo Maroni in un’intervista a Libero scommettendo su un trionfo al referendum di domenica: «Vedrete cose che voi umani…».
Silvio Berlusconi ci mette la faccia. Non era la prima volta che si esprimeva a favore del referendum sulle autonomie che si svolgerà domenica in Lombardia e in Veneto. Ma ieri ha avuto ben altro peso: si è presentato di persona insieme al governatore lombardo Roberto Maroni in un evento ad hoc, al Piccolo Teatro di Milano. In effetti, oltre alla faccia ci ha messo anche il dito: ha sperimentato il nuovo sistema di voto attraverso un tablet che la Lombardia utilizzerà per la prima volta. Non è affatto detto, però, che il Cavaliere potrà effettivamente votare: «Non lo so ancora. L’ho chiesto ai miei avvocati ma ancora non lo so». Il fatto è che il fondatore di Forza Italia dal 2013 ha la residenza a Roma.
Roberto Maroni ha indicato per la prima volta la soglia del successo: «Nel 2001 — ha detdrò
Auguri: sul tema, infatti, veneti e lombardi (più ancora di altri italiani) sono stati spesso un po’ illusi. Al punto che certi slogan sembrano esser finiti in soffitta appena finita la campagna elettorale.
Un esempio? Il progetto maroniano di trattenere in Lombardia «il 75% delle tasse». Obiettivo sventolato 13 volte nei titoli dell’Ansa «prima» delle elezioni del 25 febbraio 2013. Ma assai più raramente dopo. Fino a sparire quasi del tutto. E mai sollevato ufficialmente, per quel che se ne sa, con la richiesta ufficiale al governo di più autonomia sulla base di quell’articolo 116 («Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia... possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata...») invocato nel prossimo referendum. Deciso con l’idea che una spinta referendaria (sia pure costosetta...) potrebbe aver più peso. E magari essere poi spesa come un ammiccamento all’indipendenza...
Tutto legittimo, tutto regolare. Come ha detto Luca Zaia, «chi sostiene che la consultazione è una boiata insulta quindi anche i giudici costituzionali». C’è: fine. La ricostruzione di tutto il percorso, tuttavia, merita qualche riga di riepilogo. Occhio alle date. Nell’aprile 1996 Romano Prodi vince le elezioni: manco il tempo di avviare i lavoro e la Lega, a settembre, dichiara «l’indipendenza e la sovranità della Padania». «Nel giro di un anno o due arriveremo all’Europa delle Regioni», annuncia Maroni: «Poi suoneremo il rhythm & blues». Macché...
Un paio d’anni dopo, fallita la secessione, il Veneto chiede un referendum, bocciato dalla Consulta, per «l’attribuzione alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari di autonomia». Passano altri mesi e nel luglio 2000, con la sinistra ancora al governo e le elezioni politiche ormai in vista, parte una nuova richiesta: il Veneto to — al referendum sulla riforma del Titolo V andò a votare il 34%. Mi aspetto di superare almeno quella quota». Un sondaggio Swg consegnato martedì assegnava l’intenzione di voto a una cifra oscillante tra il 38 e il 42% del campione, in crescita sulla settimana precedente: gli indecisi allora erano il 26%, ora sono il 13%. Il livello di conoscenza del referendum è alto: 87%. E l’81% del campione sa indicare anche la data. Il Sì è tra l’80 e il 90%.
Maroni ha anche chiesto a Berlusconi di «inserire l’autonomia nel programma di governo. Pronti: «La proporrò per tutte le Regioni. Per spostare le competenze dal centro alla sede giusta, quella regionale». Il Cavaliere ha anche parlato dell’alleanza con la Lega: «Non c’è mai stato motivo di distacco dal 2001». Unica frizione, l’uscita dall’euro: «Ve- Salvini la settimana prossima e gli chiederò se è vero che lui ha via via cambiato posizione, rendendosi conto delle difficoltà che avremmo».
Maroni ha anche invitato il sindaco di Bergamo Giorgio Gori (Pd), suo futuro avversario alle regionali ma sostenitore del Sì al referendum: quando sarà avviata la trattativa con lo Stato per le nuove competenze sarà «il benvenuto».
Intanto, il governo ha chiesto al Veneto il conto (2 milioni e 44 mila euro) per l’utilizzo della forza pubblica ai seggi: «È l’ultimo disperato tentativo di impedire ai veneti l’esercizio democratico del voto — ha commentato il presidente Luca Zaia —. Noi accogliamo con un sorriso gandhiano e una certa assuefazione ai colpi bassi».