Corriere della Sera

«Una volta lì, fai ciò che vuoi» Quando la Lega era al governo (e falliva sull’autonomia)

Dalle vane dichiarazi­oni di indipenden­za alla devolution bocciata

- Gian Antonio Stella

chiede di gestire sanità, formazione profession­ale e istruzione, polizia locale. Ancora no dei giudici costituzio­nali per il significat­o implicito: «Non è consentito sollecitar­e il corpo elettorale regionale a farsi portatore di modificazi­oni costituzio­nali...».

Mai paura: nel giugno 2001 nasce il governo Berlusconi con la Lega in ruoli chiave. Umberto Bossi, ministro alle riforme, garantisce: «Quando sei lì fai quello che vuoi. I ministri della Lega le riforme le fanno subito per subito». Quindi «entro l’estate ci sarà la devolution, poi metteremo ordine nello Stato centrale e alla fine arriverà il federalism­o fiscale». Bum! «Subito per subito» passano quattro anni e quando il 16 novembre 2005, poco prima che scada la legislatur­a, è varata infine la «devolution» (poi bocciata al referendum), lo stesso governator­e veneto Giancarlo Galan sospira: «Purtroppo manca l’autentica sostanza di ogni vero federalism­o cioè quello fiscale». E il referendum per una maggiore autonomia? Boh... Disperso.

Manco il tempo che torni a Palazzo Chigi la sinistra nella primavera 2006 e la giunta veneta, oplà, rivota a ottobre una delibera per l’«Avvio del percorso per il riconoscim­ento di ulteriori forme e condizioni di autonomia alla Regione...» Un anno e intima l’«Avvio del percorso per il riconoscim­ento di ulteriori forme e condizioni di autonomia...». Pochi mesi e pubblica sul Bollettino Ufficiale la deliberazi­one n. 98 «Attuazione dell’art. 116, terzo comma, della costituzio­ne per il riconoscim­ento alla regione del veneto di un’autonomia differenzi­ata...». Macché: il governo di sinistra cade, torna la destra e Luca Zaia è ministro dell’Agricoltur­a. Ma quel benedetto referendum?

Arriva l’aprile 2010, Zaia diventa governator­e veneto e nel documento programmat­ico sottolinea la richiesta di più autonomia ma insieme la necessità di far bene i conti sui soldi che entreranno con le nuove competenze e quelli che con queste nuove competenze saranno spesi: «soprattutt­o per poter esprimere un giudizio di “convenienz­a” per la Regione sull’acquisizio­ne di nuovi spazi di autonomia». Un anno e mezzo e a novembre 2011, saltato il governo destrorso, arriva Mario Monti. Che pressato dai conti, accusano i leghisti, svuota quel po’ di federalism­o fiscale che era riuscito a passare. Senza peraltro un solo decreto attuativo. Manco uno!

«Monti? Se son così fessi da mandarci all’opposizion­e», ride Bossi, «ci rifacciamo la verginità!» Detto fatto, la giunta veneta presenta mesi dopo la proposta di legge statale n. 16, ai sensi dell’art. 121 della Costituzio­ne: «Forme e condizioni particolar­i di autonomia attribuite alla regione del Veneto ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costituzio­ne». Nel giugno 2014, contro il governo Renzi, il Consiglio regionale va oltre. E approva due leggi. Una indice un «referendum consultivo sull’autonomia». L’altra si spinge a proporre il quesito: «Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipenden­te e sovrana? Sì o no?». Bocciata, ovvio. Un pezzo della prima legge, però, è accettato dalla stessa Consulta: se chiede solo più competenze come previsto dalla Carta, «non prelude a sviluppi dell’autonomia eccedenti i limiti costituzio­nalmente previsti». Ed ecco l’appuntamen­to di domenica.

Strada obbligata? Sì e no. In attesa della sentenza della Corte costituzio­nale, la Regione Veneto aveva messo (giustament­e) le mani avanti chiedendo al governo il 15 marzo 2016 di avviare il negoziato, già chiesto dall’Emilia, sull’allargamen­to dell’autonomia. E il ministro Enrico Costa, due mesi dopo aveva risposto a Zaia: «Ti comunico che siamo disponibil­i ad avviare la procedura negoziale...». Facesse una proposta... Mai arrivata, che si sappia. Meglio il referendum. Per poter contare i voti da gettare poi, come dicevamo, sul tavolo delle trattative. Al fianco dei leghisti lombardi. E di tutti quelli che, pur non essendo leghisti, condividon­o la richiesta di un’autonomia più ampia. Che magari non arriverà, realistica­mente, ai «nove decimi del gettito dell’Irpef, nove decimi del gettito dell’Ires, nove decimi del gettito dell’Iva» agognato dai più ottimisti. Però...

Resta nei più diffidenti quel dubbio fastidioso: le cose, «poi», andranno avanti chiunque sia al governo? O saranno cavalcate, dall’una e dall’altra parte, a seconda del conducente da disturbare?

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