Malta, spunta la «pista libica» per la reporter assassinata
Indagò sul traffico dei visti medici per i miliziani. Usato esplosivo militare
Quarantadue piste. «Tutte possibili, nessuna sicura». Gli investigatori si riuniscono a metà pomeriggio, sotto la tenda a pochi passi dal luogo dell’esplosione. Scotland Yard, Fbi, olandesi, danesi, collaborano anche gl’italiani. La collina di Bidinija è chiusa da poliziotte che bloccano chi s’avvicina, nemmeno gli amici di famiglia possono arrivare alla casa per le condoglianze.
Sul tavolo ci sono 42 ipotesi investigative: i dossier che Daphne Caruana Galizia aveva nel pc e che il figlio Matthew sta decrittando, uno per uno. Inchieste sulla corruzione fiscale, sul traffico di petrolio e di droga, sulle prostitute dei politici. Le mille ramificazioni dei Panama Papers. E pure una traccia che la blogger aveva ripreso a seguire negli ultimi mesi: lo scandalo dei «falsi feriti» della Libia. Un affare che attraverso intermediari maltesi, da anni, garantisce a cliniche di mezza Europa (anche a Roma) rimborsi milionari per ricoveri inesistenti. Una rete — era convinta Daphne — di politici maltesi e criminali internazionali che avevano trovato il modo di far soldi sulla guerra civile fra Tripoli e Bengasi.
È solo una delle tante ipotesi. Ma un’eventuale pista libica ● Daphne Caruana Galizia, 53 anni, era una reporter e aveva 3 figli si basa su diversi elementi di queste prime indagini. Il principale è l’esplosivo usato, il Semtex, quello dell’attentato di Lockerbie, che a Malta sarebbe arrivato via Sicilia da uno dei grandi depositi (700 tonnellate) ereditati dall’era Gheddafi. Un altro è l’enorme flusso di denaro libico che passa per l’isola: nelle mediazioni petrolifere, nella custodia dei fondi sovrani e ultimamente, aveva scoperto Daphne, nel finanziamento delle milizie. Che cosa c’è nei dossier della giornalista uccisa? Per esempio: indagando sulla strana carriera d’un ottico della Valletta, in poco tempo passato dal bancone del suo negozio agli staff riservati del governo, la giornalista aveva scoperto alcune agenzie private maltesi che offrono assistenza umanitaria alla Libia. Un grande traffico di «visti medici» a pagamento che per lungo tempo ha permesso a migliaia di miliziani di Tripoli, di Misurata o di Tobruk — talvolta autentici criminali — d’entrare senza problemi con le loro famiglie in area Ue. Tutti questi viaggi erano coperti dalla necessità di curare ferite di guerra che, in realtà, non esistevano.
Dopo aver ricoverato per mesi i reduci in Croazia o in Italia, ma anche in Turchia, in Libano e in Tunisia, era facile presentare conti taroccati e salatissimi di terapie mai praticate: in realtà, gli stipendi dei miliziani e le tangenti a chi di dovere. Che i governi libici hanno sempre pagato, spesso