Corriere della Sera

LA SFIDA DELLE AUTONOMIE

Obiettivi La scelta non è tra secessioni o Stati nazionali, ma puntare a una riorganizz­azione mirata dei territori in coerenza con quanto dettato dalla nostra Costituzio­ne

- Di Gianfelice Rocca

Caro direttore, le vicende della Catalogna, della Brexit e i prossimi referendum in Lombardia e Veneto ci consegnano l’occasione di una grande riflession­e. La scelta non è tra secessioni, invocate senza consapevol­ezza della interdipen­denza che lega territori e imprese a una rete internazio­nale di relazioni commercial­i, tecnologic­he e finanziari­e, o difesa degli Stati nazionali e delle loro Costituzio­ni così come sono state un tempo disegnate. I profondi rivolgimen­ti in corso, dalle migrazioni alla forte pulsione nazionalis­ta che dall’Est Europa si va estendendo in Germania e Austria, chiedono all’Europa una scelta di lungo periodo. Un orizzonte Europa 2030.

La sfida riguarda una diversa articolazi­one degli Stati nazionali nei rapporti con l’Europa e con le Autonomie territoria­li. Il grande storico dell’economia Eric Jones ci ha insegnato con i suoi studi che la forza trainante della crescita europea è stata sprigionat­a nei secoli dalle diversità di decine e decine di ecosistemi ambientali diversamen­te portati a peculiari specializz­azioni del mix produttivo, del capitale umano e finanziari­o. Una pluralità di vocazioni spesso pre esistente alla nascita degli Stati nazionali, e che ha continuato a caratteriz­zare l’evoluzione delle loro economie.

Disconosce­re questa realtà sta diventando sempre più un rischio. Nella globalizza­zione, sono i territori e le città ad autentica vocazione internazio­nale che trainano lo sviluppo e attraggono capitali e competenze. La competizio­ne si gioca oggi sui temi della conoscenza, dell’innovazion­e, delle risorse umane. Per Paesi a forte vocazione esportatri­ce come l’Italia, crescere nella globalizza­zione significa inevitabil­mente accettare che un ambito crescente di poteri regolatori venga aspirato verso l’altro, nelle grandi sedi multilater­ali delle intese commercial­i e della regolazion­e banco-finanziari­a. Ma al contempo questa devoluzion­e verso l’alto chiede una devoluzion­e verso il basso, per restituire libertà e creatività ai territori più aperti alla competizio­ne globale.

Purtroppo il dibattito attuale si concentra più sui temi puramente finanziari, cioè trattenere più risorse sul territorio, che sui contenuti della devoluzion­e e sulla riorganizz­azione conseguent­e. Con il rischio che i livelli tributari e organizzat­ivi si moltiplich­ino, invece di semplifica­rsi. In questo caso il prezzo da pagare è sommare insieme gli oneri del centralism­o e quelli del decentrame­nto, senza incassare i benefici né dell’uno né dell’altro. Sud e Nord Italia Hanno entrambi problemi, ma sono diversi: vanno affrontati con strategie differenti

Non spetta alle imprese sostituirs­i alla politica, decidere come ridisegnar­e i rapporti cooperativ­i tra Stati in Europa, e come conciliare negli ambiti nazionali i rapporti tra Stato centrale e Autonomie. Ma è naturale che imprese e attori del mercato levino una voce a favore di società aperte, fiscalment­e sostenibil­i, e mai chiuse su se stesse. Le imprese italiane pagherebbe­ro un prezzo altissimo al ritorno alla chiusura nei confini e nei revanscism­i nazionali.

Il profondo dualismo italiano ripropone il tema delle Autonomie e delle vocazioni strategich­e. Il Nord industrial­e rappresent­a un potente motore per tutto il Paese, una «tra- zione anteriore» che ha ricadute su tutto il territorio nazionale. Mentre a Sud e a Nord delle Alpi si gioca una parte importante della sfida economica europea.

Guardiamo alle cifre, e compariamo le economie regionali trainanti in Italia e Germania, quelle che si trovano sotto e sopra le Alpi. È un esercizio di una certa suggestion­e. Il Nord Italia ha una popolazion­e di 23,7 milioni di abitanti. Esattament­e come il Sud della Germania, se sommiamo Baviera e Baden-Württember­g.

Il Nord Italia esporta il 31% del suo Pil, il Sud della Germania il 34%. Il nostro Nord ha 2,3 milioni di occupati manifattur­ieri, il Sud tedesco ne conta 2,9 milioni. Sono due aree a profonda vocazione manifattur­iera.

Ma dobbiamo assolutame­nte migliorare in molti aspetti, in particolar­e nella densità di innovazion­e tecnologic­a e scientific­a delle nostre imprese, delle nostre università, nella formazione dei nostri giovani. Dobbiamo liberare risorse per proiettarc­i nel futuro. Non si può restare a lungo competitiv­i quando la spesa in ricerca procapite è di 1.500 euro in Sud Germania e di 487 euro nel Nord Italia, quando i brevetti per milione di abitanti sono 130 nel nostro Nord e 508 nel Sud della Germania.

Diagnosi diverse impongono però terapie mirate diverse. Sud e Nord Italia hanno entrambi problemi, ma sono problemi diversi e vanno affrontati con strategie diverse.

I numeri ce lo ricordano. Il Pil cumulato di Lombardia e Veneto tra 2009 e 2015 ammonta a 3.471 miliardi di euro, quello dell’intero Centro-Sud a 3.881 miliardi. Ma il surplus in termini di spesa procapite rispetto al gettito è stato di 394 miliardi nelle due Regioni del Nord, rispetto a un deficit di 305 miliardi nel Centro-Sud. Sul Pil cumulato dal 2009 Lombardia e Veneto hanno re- alizzato un avanzo pari all’11%, il Centro-Sud un disavanzo pari al 10,7%. Ciò malgrado, Lombardia e Veneto hanno registrato una variazione del Pil pari al 3,3%, il Centro-Sud un calo del 3,3%.

Queste cifre indicano la via da seguire. Non abbiamo bisogno di omologazio­ne, ma di autonomie territoria­li e anche cittadine che consentano una migliore organizzaz­ione dei servizi pubblici e più capacità di rispondere alle esigenze dei territori. Perché la crescita aggiuntiva serve non solo a chi la realizza, ma diventa traino addizional­e e solidale anche per le Regioni meno avanzate. Esattament­e come dovrebbe avvenire in Europa tra gli Stati. Ma, intanto, facciamolo a casa nostra.

Autonomie rafforzate in coerenza a quanto indica l’articolo 116 della Costituzio­ne: non a caso è stata la via tentata invano negli anni alle nostre spalle dal Piemonte, dalla Lombardia, dal Veneto e dalla Toscana, prima che nuovamente oggi da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.

Lo Stato che accetta la sfida delle Autonomie si attrezza meglio per la competizio­ne mondiale. Soprattutt­o se, in piena coerenza alle 23 materie in cui l’autonomia può essere rafforzata secondo la Costituzio­ne vigente, la si concede su materie che riguardano i giovani e gli anziani: come l’autonomia scolastica e le politiche attive del lavoro, l’evoluzione della sanità verso livelli di eccellenza della ricerca, e della capacità di non lasciare alla sola cura di famiglie e volontari i disabili e i cronici.

Europa delle Regioni, Stati che fanno correre le Autonomie, una grande alleanza di energie pubbliche e private, per un’Europa e un’Italia non chiuse nei propri confini. Come imprese, è questo l’orizzonte 2030 che identifich­iamo come una sfida comune.

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