LA SFIDA DELLE AUTONOMIE
Obiettivi La scelta non è tra secessioni o Stati nazionali, ma puntare a una riorganizzazione mirata dei territori in coerenza con quanto dettato dalla nostra Costituzione
Caro direttore, le vicende della Catalogna, della Brexit e i prossimi referendum in Lombardia e Veneto ci consegnano l’occasione di una grande riflessione. La scelta non è tra secessioni, invocate senza consapevolezza della interdipendenza che lega territori e imprese a una rete internazionale di relazioni commerciali, tecnologiche e finanziarie, o difesa degli Stati nazionali e delle loro Costituzioni così come sono state un tempo disegnate. I profondi rivolgimenti in corso, dalle migrazioni alla forte pulsione nazionalista che dall’Est Europa si va estendendo in Germania e Austria, chiedono all’Europa una scelta di lungo periodo. Un orizzonte Europa 2030.
La sfida riguarda una diversa articolazione degli Stati nazionali nei rapporti con l’Europa e con le Autonomie territoriali. Il grande storico dell’economia Eric Jones ci ha insegnato con i suoi studi che la forza trainante della crescita europea è stata sprigionata nei secoli dalle diversità di decine e decine di ecosistemi ambientali diversamente portati a peculiari specializzazioni del mix produttivo, del capitale umano e finanziario. Una pluralità di vocazioni spesso pre esistente alla nascita degli Stati nazionali, e che ha continuato a caratterizzare l’evoluzione delle loro economie.
Disconoscere questa realtà sta diventando sempre più un rischio. Nella globalizzazione, sono i territori e le città ad autentica vocazione internazionale che trainano lo sviluppo e attraggono capitali e competenze. La competizione si gioca oggi sui temi della conoscenza, dell’innovazione, delle risorse umane. Per Paesi a forte vocazione esportatrice come l’Italia, crescere nella globalizzazione significa inevitabilmente accettare che un ambito crescente di poteri regolatori venga aspirato verso l’altro, nelle grandi sedi multilaterali delle intese commerciali e della regolazione banco-finanziaria. Ma al contempo questa devoluzione verso l’alto chiede una devoluzione verso il basso, per restituire libertà e creatività ai territori più aperti alla competizione globale.
Purtroppo il dibattito attuale si concentra più sui temi puramente finanziari, cioè trattenere più risorse sul territorio, che sui contenuti della devoluzione e sulla riorganizzazione conseguente. Con il rischio che i livelli tributari e organizzativi si moltiplichino, invece di semplificarsi. In questo caso il prezzo da pagare è sommare insieme gli oneri del centralismo e quelli del decentramento, senza incassare i benefici né dell’uno né dell’altro. Sud e Nord Italia Hanno entrambi problemi, ma sono diversi: vanno affrontati con strategie differenti
Non spetta alle imprese sostituirsi alla politica, decidere come ridisegnare i rapporti cooperativi tra Stati in Europa, e come conciliare negli ambiti nazionali i rapporti tra Stato centrale e Autonomie. Ma è naturale che imprese e attori del mercato levino una voce a favore di società aperte, fiscalmente sostenibili, e mai chiuse su se stesse. Le imprese italiane pagherebbero un prezzo altissimo al ritorno alla chiusura nei confini e nei revanscismi nazionali.
Il profondo dualismo italiano ripropone il tema delle Autonomie e delle vocazioni strategiche. Il Nord industriale rappresenta un potente motore per tutto il Paese, una «tra- zione anteriore» che ha ricadute su tutto il territorio nazionale. Mentre a Sud e a Nord delle Alpi si gioca una parte importante della sfida economica europea.
Guardiamo alle cifre, e compariamo le economie regionali trainanti in Italia e Germania, quelle che si trovano sotto e sopra le Alpi. È un esercizio di una certa suggestione. Il Nord Italia ha una popolazione di 23,7 milioni di abitanti. Esattamente come il Sud della Germania, se sommiamo Baviera e Baden-Württemberg.
Il Nord Italia esporta il 31% del suo Pil, il Sud della Germania il 34%. Il nostro Nord ha 2,3 milioni di occupati manifatturieri, il Sud tedesco ne conta 2,9 milioni. Sono due aree a profonda vocazione manifatturiera.
Ma dobbiamo assolutamente migliorare in molti aspetti, in particolare nella densità di innovazione tecnologica e scientifica delle nostre imprese, delle nostre università, nella formazione dei nostri giovani. Dobbiamo liberare risorse per proiettarci nel futuro. Non si può restare a lungo competitivi quando la spesa in ricerca procapite è di 1.500 euro in Sud Germania e di 487 euro nel Nord Italia, quando i brevetti per milione di abitanti sono 130 nel nostro Nord e 508 nel Sud della Germania.
Diagnosi diverse impongono però terapie mirate diverse. Sud e Nord Italia hanno entrambi problemi, ma sono problemi diversi e vanno affrontati con strategie diverse.
I numeri ce lo ricordano. Il Pil cumulato di Lombardia e Veneto tra 2009 e 2015 ammonta a 3.471 miliardi di euro, quello dell’intero Centro-Sud a 3.881 miliardi. Ma il surplus in termini di spesa procapite rispetto al gettito è stato di 394 miliardi nelle due Regioni del Nord, rispetto a un deficit di 305 miliardi nel Centro-Sud. Sul Pil cumulato dal 2009 Lombardia e Veneto hanno re- alizzato un avanzo pari all’11%, il Centro-Sud un disavanzo pari al 10,7%. Ciò malgrado, Lombardia e Veneto hanno registrato una variazione del Pil pari al 3,3%, il Centro-Sud un calo del 3,3%.
Queste cifre indicano la via da seguire. Non abbiamo bisogno di omologazione, ma di autonomie territoriali e anche cittadine che consentano una migliore organizzazione dei servizi pubblici e più capacità di rispondere alle esigenze dei territori. Perché la crescita aggiuntiva serve non solo a chi la realizza, ma diventa traino addizionale e solidale anche per le Regioni meno avanzate. Esattamente come dovrebbe avvenire in Europa tra gli Stati. Ma, intanto, facciamolo a casa nostra.
Autonomie rafforzate in coerenza a quanto indica l’articolo 116 della Costituzione: non a caso è stata la via tentata invano negli anni alle nostre spalle dal Piemonte, dalla Lombardia, dal Veneto e dalla Toscana, prima che nuovamente oggi da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
Lo Stato che accetta la sfida delle Autonomie si attrezza meglio per la competizione mondiale. Soprattutto se, in piena coerenza alle 23 materie in cui l’autonomia può essere rafforzata secondo la Costituzione vigente, la si concede su materie che riguardano i giovani e gli anziani: come l’autonomia scolastica e le politiche attive del lavoro, l’evoluzione della sanità verso livelli di eccellenza della ricerca, e della capacità di non lasciare alla sola cura di famiglie e volontari i disabili e i cronici.
Europa delle Regioni, Stati che fanno correre le Autonomie, una grande alleanza di energie pubbliche e private, per un’Europa e un’Italia non chiuse nei propri confini. Come imprese, è questo l’orizzonte 2030 che identifichiamo come una sfida comune.