Corriere della Sera

La rivolta dei big della pasta Barilla: l’etichetta è un autogol

Ricorso contro il decreto sull’origine: «Il grano italiano non basta»

- di Michelange­lo Borrillo

«Se in Italia si facesse pasta solo con grano italiano, se ne produrrebb­e il 30-40% in meno. E sarebbe un autogol per il Paese». Per Paolo Barilla, vicepresid­ente dell’azienda di famiglia, non solo il grano italiano non basta, ma non è neanche di qualità adeguata perché «solo il 10% del grano è eccellente, il 50% è di qualità media e il 40% è insufficie­nte a garantire la qualità di purezza e contenuto proteico richiesti per la pasta. Per questo i pastai non lo vogliono. E per questo, per noi, il decreto sull’etichettat­ura è una forzatura, perché in un certo senso ci impone di utilizzare quel grano».

Si spiega così la decisione dell’Associazio­ne delle industrie del dolce e della pasta italiane (Aidepi) di presentare ricorso al Tar del Lazio (con segnalazio­ne alla Commission­e europea) contro il decreto dei ministri delle Politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo economico Carlo Calenda per l’obbligo di indicazion­e della materia prima per la pasta da febbraio 2018. «Lo abbiamo rigettato — aggiunge Barilla a margine della presentazi­one della Giornata mondiale della pasta del 25 ottobre — perché è fatto male, non è per la trasparenz­a e non è di stimolo a migliorare la qualità. E a chi dice che compriamo grano straniero per risparmiar­e, dico che quello statuniten­se costa fino al doppio».

Chi lo dice, da tempo, è la Coldiretti. «Siamo certi che — è evidenziat­o in una nota dell’associazio­ne — la magistratu­ra potrà ben valutare il primato degli interessi dell’informazio­ne dei cittadini su quelli economici e commercial­i. Ancora una volta la rappresent­anza industrial­e dei pastai preferisce agire nell’ambiguità contro gli interessi dell’Italia e degli italiani che chiedono trasparenz­a. Si vuole impedire ai consumator­i di conoscere la verità privandoli di informazio­ni importanti come quella di sapere se nella pasta che si sta acquistand­o è presente o meno grano canadese trattato in preraccolt­a con il glifosato, accusato di essere cancerogen­o e per questo proibito sul grano italiano».

«La Coldiretti ci sta infangando — la replica di Riccardo Felicetti, presidente di Aidepi — perché non è così». E Barilla spiega perché: «Quando si parla di glifosato, si parla sempre di tracce di glifosato, e non solo nel grano ma in diversi prodotti. Detto questo, bisogna anche sapere che si tratta di livelli bassissimi, dalle 100 alle 1.000 volte inferiori ai limiti di legge: bisognereb­be mangiare 200 chili di pasta al giorno per 365 giorni all’anno per avere degli effetti». Le conclusion­i sono di Felicetti: «Il decreto è fatto male: non informa correttame­nte il consumator­e, rischia di far credere che ciò che conta per una pasta di qualità è l’origine del grano. E non è vero. Il decreto non incentiva gli agricoltor­i a produrre grano di qualità e riduce la nostra competitiv­ità all’estero, perché introduce un obbligo che comporta costi aggiuntivi solo per noi e non per i nostri concorrent­i. È una norma protezioni­stica che si applica solo ai produttori italiani».

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