Mille anni di ecologia La valle che sfrutta il bosco con saggezza
di un’azienda municipalizzata. Ma non è una delle tante, perché questa terra di lavoro vigoroso, di cooperative e di solidarietà, ma anche di motori e di invenzioni straordinarie, ha già inoculato nel Dna dell’azienda un embrione di innovazione e sviluppo straordinari.
«Nei decenni lo sviluppo segue il percorso delle reti gas, dell’illuminazione pubblica, dell’elettricità, della nettezza urbana, del teleriscaldamento — continua Manara —. Sino alla svolta del 2000 quando si consorziano 23 comuni di tre province (Bologna, Ravenna e Firenze) e due regioni (Emilia-Romagna e Toscana). I confini amministrativi sono superati, il benessere della società passa attraverso una buona gestione del patrimonio pubblico». Ogni anno Conami reinveste i propri utili, circa 10 milioni di euro distribuendoli ai comuni consorziati. Soldi che sono spesi in progetti di pubblica utilità. Come a Imola. «Se nella nostra città nessun bambino è fuori dalle scuole materne e l’assistenza domiciliare è al top lo dobbiamo proprio a questi soldi che non gravano sui cittadini», spiega il sindaco Daniela Manca. Conami guarda anche all’ambiente. «Abbiamo costituito con il sistema cooperativo la società Bryo che si occupa di fonti rinnovabili — spiega ancora Manara —, eolico, fotovoltaico, biomasse. Bryo ha realizzato un impianto fotovoltaico galleggiante grande come cinque campi di basket a Mordano, in provincia di Bologna». Produce 500 chilowatt, e siamo solo agli inizi. Poi ci sono le startup. Una ventina sono già state avviate e occupano 140 dipendenti. Sviluppano progetti innovativi, collezionano brevetti. «Infine la sicurezza — prosegue Manara — ogni anno formiamo 3.200 lavoratori occupati in settori a rischio».
Una storia e un patrimonio culturale millenari, passione e amore per la propria terra a vantaggio di tutta la collettività. La Magnifica Comunità di Fiemme ha tutti i titoli per essere presente al Festival di Pubblica Utilità. Custode di antiche leggi e tradizioni, amministra ancora oggi un’ingente proprietà collettiva di 20.000 ettari di territorio in Trentino, costituito da montagne, pascoli e foreste, programmando tagli di legname e rimboschimenti, e curando la viabilità forestale.
Un patrimonio che non è frazionato in singole proprietà, ma appartiene a tutti i «vicini» cioè gli abitanti nativi degli 11 comuni della valle o che vi risiedano consecutivamente da almeno 20 anni, in modo che abbiano un legame stretto con il territorio.
Ha radici lontane questa forma di autogoverno la cui esistenza venne sancita ufficialmente per la prima volta nel 1111 con i cosiddetti Patti Gebardiani, stretti col principe vescovo Gebardo di Trento. Ed era un modo di garantire la sopravvivenza a tutti, in tempi in cui vivere in montagna era difficile e faticoso, quando l’economia era di sussistenza e non poteva certo contare sul turismo e sugli sport invernali, come accade oggi.
«Non viviamo di trasferimenti di risorse né da parte dello Stato né dalla Provincia Autonoma, ma di quello che ricaviamo dall’utilizzo del bosco e dalla vendita del legname» spiega Stefano Cattoi, responsabile del patrimonio forestale