Corriere della Sera

«Lavoro spesso in altri Paesi ma è l’Italia a darmi l’identità»

Il vincitore della scorsa edizione del Premio Cairo discute i temi del nostro inserto sull’arte

- Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Paolo Bini è un giovane uomo di 33 anni, vive a Battipagli­a (Salerno) e si definisce «un pittore». Sì, nell’accezione più antica: cita le Veneri di Tiziano e spiega che i suoi lavori, anche quelli fatti di nastri di carta colorati (dipinti singolarme­nte e poi applicati su supporti differenti) nascono da un doppio piano di memoria: «I paesaggi italiani che vedevo sfrecciare dal finestrino da bambino, nelle gite con la famiglia; e poi tutti gli affreschi che i miei mi portavano a vedere».

Uno di questi lavori, dal titolo I luoghi del sé, l’anno scorso ha convinto la giuria del 17esimo Premio Cairo, facendo guadagnare a Bini il primo posto nel concorso (curato dalla Redazione di Arte, mensile dell’Editoriale Giorgio Mondadori-Cairo Editore) che dal 2000 premia opere inedite di giovani artisti. Lunedì, il Palazzo Reale di Milano ospiterà la cerimonia di premiazion­e dell’edizione 2017 e, dal giorno successivo, la mostra con i lavori selezionat­i.

Domani, poi, in allegato al «Corriere della Sera» in edicola ci sarà un supplement­o dedicato all’arte nel quale si fa il punto sul settore oggi in Italia, dalle gallerie alle iniziative per promuovere il contempora­neo. E così abbiamo scelto di affrontare questi temi insieme a Paolo Bini, che lunedì cederà il titolo di vincitore.

Bini, la scelta della pittura e per di più dell’astratto non è la più frequente tra i giovani della sua età.

«In realtà sperimento anche altre tecniche, però è nella pittura e in questi paesaggi interiori che ritrovo il mio linguaggio. Sono frammenti di vita trascorsa in Italia o in Grecia. Ma sono anche il portato di una identità sottile, la chiamerei — senza retorica — italianità, che all’estero spicca e che ci rende molto apprezzati».

Molti critici accusano il nostro Paese di impegnarsi tanto a decantare il ricco patrimonio dell’antico a discapito di un serio investimen­to sul presente, cioè sui giovani artisti. Lei è d’accordo?

«Sì ma credo che molti di noi abbiano raggiunto una sorta di compromess­o: non lasciamo l’Italia ma lavoriamo molto all’estero. Io sento di aver bisogno di vivere qui, di assorbire certe cose. E non è casuale che poi, in altri Paesi, questa identità risulti convincent­e. Per esempio, quando sono andato per la prima volta a Cape Town (Bini lavora molto in Sudafrica, ndr) in una selezione scelsero il mio lavoro perché, cito, “aveva un linguaggio universale”. Trovo che ultimament­e l’attenzione nei confronti del contempora­neo ci sia, anche se l’arte riflette i problemi del Paese, sociali, economici e culturali, ovvio».

Un altro dei dibattiti accesi nel nostro inserto di venerdì è la contrappos­izione «mostre di ricerca/mostre popolari».

«Ma si possono fare mostre di ricerca con un rigore mitigato dalla scelta di opere diverse. Il progetto curatorial­e è fondamenta­le: plasma lo sguardo del pubblico, lo educa. Penso al Padiglione Italia curato da Cecilia Alemani nella Biennale di Venezia ancora in corso: lei ha scelto tre artisti, ma straordina­ri. Ha tracciato una linea, l’ho trovata una mossa forte. Così come mi era piaciuto, per motivi diversi, lo sguardo di Vincenzo Trione, nella scorsa edizione».

È cambiata la sua carriera dopo il Premio Cairo?

«È cresciuta. C’è più attenzione da parte di gallerie e di collezioni­sti. Il segreto però rimane quello di insistere, mantenere una identità molto forte e adattarsi. Io per esempio firmo anche scenografi­e di film, insomma spazio in vari ambiti. È un modo di maturare».

È cambiata la sua ricerca?

«Nei lavori che sto affrontand­o ho un obiettivo: trovare una natura perfetta che arrivi, in qualche modo, a sopraffare la pittura. Io posso dirmi soddisfatt­o: c’è un modo di dire che gira nel nostro mondo, sa qual è?».

Qual è?

(ride) «Chi ce la fa in Italia ce la fa dappertutt­o!»

Tanti miei coetanei non se ne vanno all’estero, ma provano a costruire qui una riconoscib­ilità

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A destra, Paolo Bini, 33 anni di Battipagli­a (provincia di Salerno) vincitore dell’edizione 2016 del Premio Cairo, nella foto di Carlo Ferrara. In basso, l’opera con la quale l’anno scorso Bini ha convinto la giuria della manifestaz­ione (voluta da...
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