A FIL DI RETE
Gene Gnocchi e la leggerezza dei comici nei talk politici
Perché appare così necessaria la presenza del comico nei talk d’approfondimento? Le risposte sono abbastanza scontate. È un momento di alleggerimento, è un momento in cui il politico presente in studio viene preso per i fondelli, è il momento, nel migliore dei casi, in cui alla politica «vera» viene contrapposta la politica immaginaria, quella cresciuta sul terreno dell’ironia e del paradosso, spesso capace di ridare agli ospiti la qualità di cui più difettano: la fantasia.
Inutile pensare ai late show americani, ai Jon Stewart, ai Stephen Colbert, ai Jimmy Fallon. Appartengono a un’altra cultura del talk, a un’altra tv. Seguendo l’intervento di Gene Gnocchi a «diMartedì», il programma di Giovanni Floris, mi è parso di scoprire un’altra funzione del comico: offrire un lasciapassare all’ospite preso di mira, una sorta di sdoganamento (La7, martedì, ore 21,20). Le cose sono andate così. All’inizio, Floris ha invitato in studio Roberto Fico del M5S. Fico era contratto, stava sulle sue, rispondeva con frasi fatte. Poi è intervenuto Gene. Sulle prime, quando le battute erano rivolte ad altri, Fico mostrava un’aria seriosa, il volto era marmoreo, impassibile a ogni sollecitazione. E la regia faceva bene a inquadrarlo di continuo.
Poi Gene lo ha preso di mira, simpaticamente, parlando di un profumo «Figò», mettendo alla berlina Ale Di Battista e altre cose del genere. E lui si è sciolto in una risata liberatoria. Siccome la tv generalista ha definitivamente traslocato la politica dai territori della società «reale» allo spazio mediatico, assegnandosi la gestione della sfera pubblica attraverso i suoi format, ecco che la «copertina» comica diventa doverosa.
Dal momento che Fico si è messo a ridere è come se fosse stato legittimato a partecipare al dibattito: «vieni avanti, anche tu sei dei nostri». Solo nella chiamata a correo troviamo il fondamento vero della comicità e della politica.