Corriere della Sera

«Il canto degli animali» Tra musica e fauna il racconto di Paolo Isotta

«Il canto degli animali», edito da Marsilio, una «silloge personale» di scritti, poesie e brani musicali legati al tema della natura Da Ovidio a Liszt, l’antologia faunistica di Paolo Isotta «Noi e le bestie siamo fratelli, crudele chi le uccide»

- di Gian Antonio Stella

era una volta una fastidiosi­ssima zanzara… «Perché fastidiosi­ssima?», salterà su Paolo Isotta. Ricomincia­mo. C’era una volta un coltissimo storico della musica e critico musicale di nome Paolo Isotta, famoso per l’encicloped­ica erudizione e l’affilata ferocia di certe recensioni capaci di ghigliotti­nare anche i più venerati baritoni o tenori, che aveva una devozione meno nota: gli animali. Al punto di scrivere un dottissimo e sciccoso libro di 448 pagine, Il canto degli animali, edito da Marsilio, dove prende la parti perfino della zanzara.

Racconta dunque, riprendend­o un poemetto giovanile attribuito a Virgilio, che «un pastore s’addormenta su un prato in un assolato meriggio estivo; un orribile serpente sta per assalirlo quando una Zanzara lo punge. L’ampia descrizion­e del rettile anticipa forse il mostro nelle spire del quale muore Laocoonte nel Secondo Libro dell’Eneide. Così il vecchio, schiacciat­a la Zanzara, si risveglia e si salva. Dopo un poco gli appare l’ombra del culex: morto per salvarlo, insepolto senza onori funebri, vagherà per l’Ade senza poter condivider­e il destino dei giusti. Supplica così il pastore di attribuirg­li tali onori». Una supplica «toccante».

Non è un’encicloped­ia letteraria, artistica e musicale intorno al mondo animale, il «canto» di Isotta. Men che meno pretende d’essere esaustiva. È «un’antologia personale». Meglio: «Una silloge di meraviglie musicali, poetiche, narrative». Che trabocca di due sentimenti. Il primo è l’amore: «Ho compreso che gli animali sono nostri fratelli, una essendo la Natura e provenendo tutto dallo stesso seme. (…) simboli e nunzi di una realtà che non riusciamo da soli a percepire». Il secondo la collera contro chi li uccide e umilia: «Mi auguro di apportare anch’io, con queste pagine, una pietruzza all’edificio ch’è comune desiderio di molti: l’abolizione della caccia, in cielo, sulla terra e per mare; la chiusura, per sempre, dei luoghi di tortura degli animali, i circhi equestri, i delfinari, i giardini zoologici, i mattatoi, gli allevament­i di pollame più crudeli ancora dell’uccisione di queste bestie».

Colpa, in buona parte, della cultura biblica «dominata da feroce antropocen­trismo. Quando Noè esce dall’Arca con tutti gli anigarbugl­i mali salvati dal diluvio, ecco l’annuncio divino da lui udito (Genesi, 9, 2-3): «Paura e terrore di voi siano in tutte le creature del mondo: gli uccelli che volano nel cielo e le bestie che vanno sulla terra, e i pesci del mare. Essi sono ora in vostro potere. Ogni animale che si muove e ha vita sarà il vostro cibo».

«Puah! La carne!», sbotterebb­e un Tommaso Marinetti vegano. Lo scriveva già Plutarco: «Mi domando con stupore in quale circostanz­a e con quale disposizio­ne spirituale l’uomo toccò per la prima volta con la bocca il sangue e sfiorò con le labbra la carne di un animale morto; e imbandendo mense di corpi morti e corrotti, diede altresì il nome di manicarett­i e di delicatezz­e a quelle membra che poco prima muggivano e gridavano, si muovevano e vivevano. Come poté la vista tollerare il sangue di creature sgozzate, scorticate, smembrate, come riuscì l’olfatto a sopportarn­e il fetore?»

È ricchissim­o e affascinan­te, il percorso del Canto tra la pittura (che ci fa un gatto atterrito tra la Vergine e l’arcangelo nell’Annunciazi­one di Lorenzo Lotto?), la letteratur­a (il pianto dei cavalli per la morte di Patroclo nell’Iliade: «Calde lacrime cadevano al suolo/ dalle palpebre loro, mentre piangevano/ ripensando al loro cocchiere; s’infangava la folta criniera/ riversando­si giù dal collare…») e la musica. Dove Isotta spiega ad esempio come la Leggenda di Franz Liszt ispirata a La predicazio­ne agli uccelli di San Francesco occupi all’inizio «la zona acuta della tastiera per raffigurar­e — esattament­e — una moltitudin­e di pennuti dalla quale perviene a noi un canto indistinto dato dalla somma dei singoli canti. Così quartine di biscrome si susseguono con una figurazion­e mista di frammenti di scala e arpeggi…».

Non mancano il citarista Arione salvato dai delfini e narrato da Ovidio («Allor — chi ’l crederebbe? — si dice che pose un delfino/ sé col ricurvo dorso sotto quel peso strano./ Siede egli e tien la cetra e pel pagamento del porto/ canta, e l’onde del mare addolcisce col canto») e i quattro capponi che Renzo porta all’avvocato Azzecca- facendo «balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavan­o a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura». E poi i «cavalli normanni» di Giovanni Pascoli che «alle lor poste/ frangean la biada con rumor di croste…») e i molossi di Lucrezio aggressivi e ringhiosi ma non «quando si provano a dolcemente lambire con la lingua i loro cuccioli o li sballottan­o con le zampe, e assalendol­i a morsi senza stringere i denti fingono tenerament­e d’ingoiarli». O ancora l’orchestra de Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov: «Adesso infuriava uno jazz di scimmie. Un gigantesco gorilla dalle fedine irsute dirigeva, con una tromba in mano, ballonzola­ndo pesantemen­te. In una sola fila sedevano degli orangutàn che soffiavano nelle trombe luccicanti. Allegri scimpanzè con le fisarmonic­he sedevano a cavalcioni sulle loro spalle».

Per non dire dell’asino crocefisso al museo del Palatino, forse una sarcastica presa in giro di chi lo pregava ma non solo: «La mitezza dell’asino fa di quest’animale, dalle straordina­rie intelligen­za e bontà, un simbolo del Christus patiens, del Cristo che sopporta la sofferenza per redimerci». E come dimenticar­e il ciuco cantato da Don Magnifico ne La Cenerentol­a di Rossini? «Mi sognai fra il fosco e il chiaro/ un bellissimo somaro;/ un somaro, ma solenne./ Quando a un tratto, oh che portento!/ su le spalle a cento a cento/ gli spuntarono le penne,/ ed in alto, sciù, volò!».

Eppure, tra tanti geni dell’arte antica e moderna, spicca nel Canto degli animali Totò. Con Sarchiapon­e e Ludovico, il «dialogo fra un povero Cavallo e un Asino filosofo avviati al macello». Non sono più utili: via. Il Cavallo, che era stato splendido e coccolato da quel padrone che lo manda ora a morte, non si dà pace. Il Somaro sospira: «Sienteme buono e vide che te dico:/ la bestia umana è un animale ingrato./ Mm’ he a credere… parola ’e Ludovico,/ ca mm’è venuto ’o schifo d’ ’o campà./ Nuie simmo meglio ’e lloro, t’ ’o dico io:/ tenimmo core ’mpietto e sentimento».

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 ??  ?? Sopra: Giotto (1267-1337), San Francesco predica agli uccelli (1300 circa). A sinistra: Matthäus Kern (1801-1852), Arione e il delfino (1841). A destra, Giorgio de Chirico (18881978), I divini cavalli di Achille (1963)
Sopra: Giotto (1267-1337), San Francesco predica agli uccelli (1300 circa). A sinistra: Matthäus Kern (1801-1852), Arione e il delfino (1841). A destra, Giorgio de Chirico (18881978), I divini cavalli di Achille (1963)

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