Corriere della Sera

«Lactalis ha investito per far crescere Parmalat Il pressing dei fondi? Fanno il loro mestiere»

Chersicla: il fatturato è passato da 4,5 a 6 miliardi

- di Rita Querzé

«Parmalat non ha trascurato l’Italia. Chi lo pensa è in errore». Negli ultimi mesi si è parlato del gruppo di Collecchio per il mancato delisting, per le discusse vicende legate all’acquisizio­ne di Lag (le attività americane di Lactalis, che tramite Sofil ha l’89% di Parmalat). La presidente, Gabriella Chersicla - classe 1962, triestina, un passato da giocatrice di basket in serie A - si è trovata a fronteggia­re situazioni complesse. Ma non ha perso l’istinto per il tiro a canestro. Anche partendo dalla difesa. «Si è dipinto il gruppo in modo ingeneroso. Dimentican­do completame­nte quello che stiamo facendo sul piano industrial­e. A vantaggio anche del nostro territorio».

Se la “narrazione” legata a Parmalat e Lactalis è quella che è, la responsabi­lità è anche di un gruppo che non comunica volentieri… «Guardi, io vorrei parlare di cose concrete».

Diceva dei vantaggi per l’Italia. Esempi?

«La rappresent­azione della Parmalat “spolpata” dai francesi è fuori luogo. Al contrario, Lactalis ha investito e fatto crescere il gruppo. Il primo indicatore è il fatturato, passato da 4,5 miliardi del 2011, quando Parmalat fu acquisita, ai 6 attuali, grazie anche alle acquisizio­ni. Il consolidam­ento di Parmalat in Italia passa anche attraverso il recente acquisto di Latterie Friulane e Silac in Puglia. Realtà in difficoltà che sono state rilanciate». I consumi di latte in Italia stentano.

«Questo chiarisce quanto sia stato importante diversific­are in questi anni. Sia puntando su nuovi mercati, sia accelerand­o sull’innovazion­e di prodotto, per esempio nel latte senza lattosio». Contate di acquisire anche

il trasformat­ore di latte australian­o Murray Gouburn?

«Tutti i maggiori operatori del settore sono interessat­i alla vicenda. L’Australia è un mercato importante anche per la vicinanza alla Cina, dove i consumi di latticini sono in forte crescita. La stessa Parmalat Australia esporta in Cina parte della sua produzione».

L’Opa per togliere Parmalat dalla Borsa, che ha visto la scorsa primavera l’alzata di scudi dei fondi attivisti, è solo rimandata?

«Questa domanda andrebbe rivolta agli azionisti, non al cda. Il cda ha l’obbligo di pronunciar­si sulla congruità del prezzo offerto».

Per i fondi attivisti, e non solo per loro, il prezzo non era congruo.

«L’obiettivo dei fondi attivisti è alzare al massimo i rendimenti. Credo la situazione sia stata strumental­izzata a questo fine».

Parmalat ha chiesto all’americana Citigroup 1,8 miliardi di danni per le vicende del crac del 2004. Siete vicini a una transazion­e?

«Parmalat ha dato una disponibil­ità a trattare, ma non esistono al momento ipotesi su cui si sta lavorando. Si tratta di un contenzios­o molto complesso. Anche Citigroup avanza pretese. Una cosa è la richiesta oggetto dell’azione risarcitor­ia promossa da Parmalat di 1,8 miliardi, un’altra è il quantum di un eventuale accordo transattiv­o»

Con altri manager del gruppo lei è stata rinviata a giudizio per ostacolo alla vigilanza Consob sull’acquisizio­ne di Lag.

«Per la verità al momento ho ricevuto soltanto un avviso di conclusion­e delle indagini. Non posso che sottolinea­re la mia massima fiducia nella magistratu­ra. E non è una formula di rito: in passato ho lavorato molto a contatto con le Procure (Chersicla ha guidato la divisione Forensic di Kpmg, ndr; ). Certo, l’acquisizio­ne di Lag è del 2012, e da allora il contributo di Lag al gruppo Parmalat è stato positivo, consideran­do che Lag ha una profittabi­lità superiore alla media di tutto il gruppo».

A breve le quote per le donne nei cda potrebbero sparire. Così prevedeva la legge che le ha istituite. Che ne pensa?

«Mi auguro che non si torni indietro. Se non ci fosse stata questa legge io non sarei qui. Preferirei che non fosse necessaria l’imposizion­e di quote al femminile e sempliceme­nte fosse premiato il merito. Da quando ho iniziato molto è migliorato ma non tutti gli ostacoli sono stati eliminati». Vede limiti nell’applicazio­ne della normativa?

«Alla fine nei cda sono entrate molte profession­iste e docenti universita­rie e poche manager. La gran parte delle donne nei cda sono amministra­tori indipenden­ti. Poche hanno ruoli esecutivi. C’è qualche presidente, come nel mio caso. Le pochissime donne amministra­tore delegato spesso sono espression­e diretta della proprietà. C’è ancora molta strada da fare!».

Se non ci fosse stata la legge sulle quote rosa, io non sarei qui. La situazione è migliorata, ma c’è ancora da fare

Aver puntato su prodotti diversi e innovativi e su nuovi mercati, si sta rivelando una strategia vincente

Il contenzios­o Il gruppo di Collecchio ha chiesto 1,8 miliardi di danni a Citigroup per il crac del 2004

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy