Catalogna, un piano per evitare gli scontri
Il governo spagnolo studia il commissariamento dei vertici a Barcellona, sabato, senza presenza fisica
Sogni ed incubi della domenica di Barcellona. Il voto del Senato spagnolo per il commissariamento del governo catalano è dietro l’angolo, venerdì si approverà per entrare in vigore sabato. E poi? Basterà una lettera di licenziamento per convincere i catalani ribelli a lasciare le loro poltrone? E se nel frattempo il President Carles Puigdemont avesse ancora in serbo una sorpresa delle sue?
In fondo Madrid aveva assicurato che non ci sarebbe stato referendum e invece improvvisamente urne e schede sono comparse il primo ottobre, con terribile smacco per la polizia nazionale. Il conseller («ministro») degli Esteri catalano Raül Romeva si è mostrato ancora deciso ieri: «Non permetteremo che l’articolo 155 sospenda l’autonomia della Catalogna». Già, ma come? Sono tanti a perderci il sonno.
Gli indipendentisti sono divisi tra chi vorrebbe l’indipendenza subito e chi accarezza l’idea di convocare elezioni anticipate all’ultimo secondo, prima di essere commissariati. Lo scopo sarebbe nobile: evitare il congelamento dell’autonomia. Quel che preoccupa di più sono i 6 mesi di commissariamento ipotizzati da Rajoy. Se ne aspettavano al massimo la metà. In quei mesi tv, radio, finanze, ma anche ambasciate regionali all’estero, polizia, educazione, sanità sarebbero sottoposte al controllo di Madrid. Politiche «catalaniste» vecchie di 30 anni potrebbero essere invertite.
I mugugni crescono. La sfida separatista comincia ad apparire come avventurismo. Perché non avevano capito che l’Europa ci avrebbe ignorati? Valeva la pena giocarsi l’autonomia conquistata dopo il franchismo?
Altri vogliono andare fino in fondo, anche a costo di trasferirsi, sabato mattina, tutti a Perpignan, in Francia. È la sinistra anti capitalista della Cup a proporre un governo Puigdemont in esilio. Intransigenti anche le due associazioni dei Comuni indipendentisti (Ami e Acm) che promettono migliaia di delibere a favore della dichiarazione d’indipendenza.
Si spaccano i socialisti catalani. Per loro il tema è l’appoggio del partito nazionale guidato da Pedro Sánchez all’applicazione dell’articolo 155. A Barcellona molti li guardano come traditori del catalanismo che è qualcosa di più vasto e condiviso dell’indipendentismo. «Ve lo immaginate — chiede la sindaca Ada Colau, di area Podemos —, un ex President della Generalit come il socialista José Montilla che arriva nell’ufficio di Puigdemont e lo caccia via con la Guardia Civil per fare il commissario?». Il travaso di voti da socialisti a Podemos sarebbe immediato.
«L’autonomia della Catalogna va difesa — dichiara Nuria Parlon, sindaca socialista —, lascio il partito». Con lei sono 4 i sindaci del Psc, Partito Socialista di Catalogna, dimessisi assieme a Juan Majò, ex ministro dell’Industria a Madrid quando Felipe Gonzalez era premier.
Neppure alla Moncloa si riposa: gruppi scelti tra i diversi ministeri selezionano i nomi dei possibili commissari, scrivono regolamenti, studiano procedure per un commissariamento che non ha precedenti. L’ordine di Rajoy è che non si ripetano le violenze del referendum che tanto l’hanno messo in imbarazzo in Europa. Per questo si accarezza l’idea di un commissariamento «a freddo», senza presenza fisica a Barcellona. I funzionari catalani dovrebbero riferire (via email) a Madrid, pena multe, incriminazioni e licenziamenti. Sarebbe la via preferita da Rajoy.
Esecutivo in esilio La proposta degli indipendentisti di sinistra della Cup: trasferire l’amministrazione a Perpignan, oltre il confine con la Francia