Corriere della Sera

Trump da Guerra fredda: allertati i bombardier­i B-52

Giochi di guerra negli Usa: i piloti dei bombardier­i in «prontezza operativa». Non succedeva dal 1991 Il Pentagono non conferma, ma tra le opzioni di Trump ci sarebbe un attacco preventivo alla Nord Corea

- Di Giuseppe Sarcina

Torna il clima della Guerra fredda: il presidente Trump avrebbe allertato i bombardier­i nucleari B-52. Dall’Asia al Medio Oriente, dalla crisi atomica con la Corea del Nord, al duello con la Russia, questi i fronti aperti che avrebbero indotto il Pentagono alla decisione.

Non ci stiamo attrezzand­o per un evento specifico, ma per far fronte alla nuova realtà della situazione globale David Goldfein

Nella base di Barksdale, in Louisiana, racconta il sito Defense One (gruppo editoriale di The Atlantic), fervono preparativ­i da Guerra fredda. I piloti dormiranno vestiti, in «prontezza operativa». Negli hangar i bombardier­i B-52, armati con testate nucleari, saranno in grado di decollare «all’istante». Non succedeva dal ’91. Destinazio­ne Corea del Nord? Il generale David Goldfein, 58 anni, «Chief of Staff», il capo di stato maggiore dell’Air Force, ha spiegato al reporter di Defense One: «Non ci stiamo attrezzand­o per un evento specifico, ma per far fronte alla nuova realtà della situazione globale».

La notizia è stata ripresa da Fox News, il canale tv più vicino a Donald Trump, che invece l’ha messa in diretto collegamen­to con i piani nucleari del regime di Pyongyang. Al momento, però, il Pentagono non è uscito allo scoperto. E la parola del generale dell’Aeronautic­a, per quanto pesante, non basta da sola per evocare lo scenario di un attacco imminente. La catena di comando, ha fatto notare lo stesso Goldfein, è lunga: parte dal presidente Trump, il «commander in chief», passa per James Mattis, Segretario alla Difesa, poi c’è Joseph Dunford, il presidente dei Joint Chiefs of Staff e arriva alle basi attraverso i generali John Hyten, a capo dello Stratocom (il Comando strategico delle forze nucleari) e il generale Lori Robinson, del Northern Command.

Il segnale, però, c’è e merita la massima attenzione. Il 5 ottobre scorso, il presidente aveva invitato alla Casa Bianca i vertici militari. Prima di cena, Trump li aveva strigliati, in diretta televisiva: «Dovete darmi più velocement­e delle opzioni praticabil­i, non fatevi bloccare dalla burocrazia». I rapporti tra «The Donald» e i «suoi generali» sono alterni, tormentati, esattament­e come tutto il resto. In questi mesi ha preso nitidament­e forma un blocco formato da Mattis, i due ex colleghi in servizio alla Casa Bianca, John Kelly e Herbert Raymond McMaster, il segretario di Stato Rex Tillerson. È il filtro che sta cercando di gestire la strategia politico-militare nelle aree di crisi. Dalla Corea del Nord all’Iran.

È possibile che l’allerta dei B-52, 24 ore su 24, sia una delle risposte attese dal presidente. Finora Mattis si è mosso con grande prudenza: l’attacco alla Corea del Nord porterebbe a una catastrofe immane. Ma il generale Dunford, la punta più alta della gerarchia, sostiene: non è «inimmagina­bile avere opzioni militari per rispondere alla capacità nucleari di Kim Jong-un». I servizi segreti americani non hanno ancora identifica­to tutti i potenziali obiettivi nemici: sono rimasti totalmente spiazzati, per esempio, dalle prove di fine luglio sui missili interconti­nentali. Alex Wellerstei­n, storico della scienza al Steven Institute

capo di stato maggiore dell’Aeronautic­a Usa Le decisioni La catena di comando è lunga: parte da Trump e arriva alle basi attraverso i generali

of Techonolgy di Hoboken (New Jersey), ha messo a punto un modello matematico di simulazion­e, «Nukemap», elaborando i dati sulle esperienze di Hiroshima e Nagasaki. Non esiste la certezza che i B-52 sarebbero in grado di evitare la rappresagl­ia nordcorean­a. Secondo le ultime stime, Kim Jong-un dispone di 60 testate atomiche. Basterebbe un solo ordigno con la potenza da 100 kilotoni mostrata nel test di inizio settembre per uccidere 440 mila persone se l’obiettivo fosse Busan, Corea del Sud; 320 mila a Seul e 330 mila a San Francisco. Più ci sarebbero le vittime della Corea del Nord. Circa mezzo milione di morti, solo nel primo giorno del conflitto e nel «migliore» dei casi.

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Il presidente Donald Trump alla Casa Bianca mentre aspetta l’arrivo del premier di Singapore Lee Hsien Loong
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