Voti persi, il pasticcio dei test sui tablet
«Sono andata a casa alle 3 di notte — racconta Chiara Deleide, 28 anni e da 10 scrutatrice a Milano —. Un disastro». I motivi del fallimento del sistema di voto elettronico, usato per la prima volta in Italia ieri nel referendum della Lombardia e costato 23 milioni, sono molteplici. Non è stato possibile fornire dati in tempo reale sui risultati della votazione con i 24.400 tablet, come avrebbe dovuto essere in base al capitolato d’appalto vinto dall’azienda Smartmatic, perché le operazioni si sono inceppate a più riprese. Al momento di accendere le voting machine sono stati inseriti pin errati, che le hanno mandate in palla (ogni macchina avrebbe dovuto avere il suo pin, invece c’è chi ha inserito lo stesso su più dispositivi). Spesso, poi, ai cittadini sono stati consegnati tablet in modalità test, invece che in modalità voto, che non hanno memorizzato il voto espresso nella chiavetta usb attaccata alle voting machine. Un pasticcio che ha rallentato lo scrutinio: i tecnici hanno dovuto leggere i dati nelle memorie centrali dei tablet.
Dietro a questi disguidi ci sono errori materiali dei presidenti di seggio ma anche l’impreparazione, loro malgrado, dei digital assistant, i giovani reclutati dall’azienda di lavoro interinale Manpower per garantire il funzionamento dei tablet e mandati allo sbaraglio dopo un corso online di poche ore. Il tutto ha costretto gli scrutatori a restare nei seggi fino a quando c’è stata la certezza che la consegna e la lettura delle usb con i voti fosse andata a buon fine. Il candidato pd alla carica di governatore, Giorgio Gori, attacca: «Clamorosa dimostrazione di inefficienza». Per l’assessore Gianni Fava, coordinatore del referendum, «chi voleva votare ci è riuscito».