La scheda
stesso master e aver partecipato, ancora con un esperto israeliano, a un progetto Ue sulla gestione di emergenze radiologiche, chimiche e nucleari.
Il pressing per evitare l’esecuzione è colossale. «Ridaremo vigore alla mobilitazione a favore di Djalali» assicurano i senatori pd Luigi Manconi ed Elena Ferrara che ieri mattina hanno avuto la notizia della condanna dalla moglie del medico e dai suoi colleghi di Novara, attivissimi nell’opera di sostegno e informazione. Il ministro degli Esteri Alfano ha ribadito che l’Italia continuerà «a sensibilizzare gli iraniani su questo caso fino all’ultimo» come ha già fatto «a livello diplomatico con il nostro ambasciatore e a livello politico come Farnesina».
Amnesty International ha avviato una raccolta firme (già 200 mila) mentre i figli di 5 e 14 anni si sono rivolti anche al Papa su Facebook: «Francesco aiuta il mio papà a tornare a casa». L’assemblea generale dei rettori italiani ha approvato nel marzo scorso una mozione per «l’incondizionata difesa di tutte le libertà civili e processuali». Vida (avvertita dell’arresto del marito dalla telefonata di un poliziotto iraniano che le intimò di «non parlare con nessuno») racconta che «per tre mesi Ahmad è stato in isolamento assoluto e per altri quattro parziale nel carcere di Ervin».
«Mi chiamava per due minuti una volta al mese — prosegue — poi è stato spostato nel Reparto 7, con gli altri prigionieri e per la prima volta gli hanno permesso di avere un avvocato». La donna non sembra perdersi d’animo: «Io lo sento che rivedrò presto mio marito...». ● Ahmadreza Djalali, 45 anni, medico iraniano esperto di medicina d’emergenza, dal 2012 al 2015 ha lavorato al Centro di ricerca interdipartimentale in medicina dei disastri (Crimedim) dell’Università del Piemonte orientale
● Djalali è stato arrestato nel 2016 a Teheran, dove si era recato per un convegno medico, con l’accusa di spionaggio a favore di Israele
● Ora è stato condannato a morte