Corriere della Sera

UN MEDICO CONTRO LA GUERRA NEL FUOCO DI

CAPORETTO

- Filippo Rossi, Viterbo

È stato solo un referendum che ha fatto perdere tempo, adesso si deve assemblare la squadra che dovrà trattare con Roma e capire cosa chiedere. Sarebbe stato meglio farlo prima, trattare e poi fare il referendum sui risultati.

Erminio Merati

In Veneto trionfa il Sì con altissima percentual­e di affluenza. Alla faccia di chi diceva che non serviva a niente e che era solo una perdita di tempo e di soldi. Adesso i commentato­ri più smaliziati stanno dicendo che i veneti hanno risposto Sì ad un quesito banale che non implicava alcuna riflession­e ma una risposta scontata. Si tende solo a minimizzar­e una partecipaz­ione popolare così massiccia in tempi di elevato astensioni­smo e disaffezio­ne quasi totale alla politica.

Maria Grazia Gazzato

Ammesso che la materia fiscale sia negoziabil­e con lo Stato, è naturale che, insieme alle risorse, le Regioni dovrebbero portarsi dietro anche la quota del debito pubblico. Lombardia e Veneto che hanno una popolazion­e complessiv­a di 15 milioni di abitanti (25% della popolazion­e totale), dovrebbero accollarsi circa un debito di 570 miliardi. Penso che questa cifra farebbe passare la voglia di ogni federalism­o fiscale.

Delio Lomaglio

L’autonomia è una bella cosa, però se non ho capito male per salvare le banche venete è dovuto intervenir­e lo Stato e, sempre se non ho capito male, se non fosse intervenut­o, per l’economia del Veneto sarebbe stato un bagno di sangue...

Francesco Storti

In Lombardia il 62 per cento non ha votato e ho anche qualche personale dubbio sul restante 38 per cento in quanto a differenza delle solite elezioni era la Regione stessa a gestire il referendum e non c’erano organi di controllo indipenden­ti. Antonino Rossi

Come bioregiona­lista federalist­a anche se compagno di Sinistra italiana, penso che l’Italia debba diventare una nazione unica ma federata di varie regioni che abbiano maggiori possibilit­à di muoversi in alcuni campi.

Michele R. Clavarino Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579

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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere

Caro Aldo,

stanno uscendo molti libri sulla disfatta di Caporetto. Mi sembra un po’ sottovalut­ato il costo umano e sociale del primo conflitto mondiale. Una consideraz­ione la mia scaturita dalla lettura appassiona­ta del diario di mio nonno, Filippo Petroselli: «Ospedale di campo. Memorie di un medico cattolico dalla guerra di Libia a Caporetto» (Rubbettino). È possibile che gli storici non sappiano andare oltre le battaglie e la politica?

Caro Filippo,

Proprio oggi cade il centenario di Caporetto. In queste stesse ore, l’esercito italiano veniva travolto dagli austro-tedeschi, per poi riprenders­i sul Grappa e sul Piave. Anch’io ho letto con commozione il diario di suo nonno. La sensibilit­à con cui gli italiani guardano alla Grande Guerra deriva anche dal legame con le memorie familiari. Mio nonno Lorenzo, ragazzo del ’99, cent’anni fa era in un campo di prigionia — i nati nei primi quattro mesi entrarono in linea sull’Isonzo già nella primavera del 1917 —, dove rischiò di morire di fame. Fu salvato da un guardiano austriaco che ebbe pietà di lui e dei suoi compagni, e consentì loro di uscire dal campo, sulla parola, per andare a raccoglier­e qualche patata. Centomila prigionier­i italiani morirono di stenti.

Ho ricevuto molti messaggi di lettori che criticano le parole affidate al Corriere dal capo di Stato maggiore della Difesa, Claudio Graziano. Lo accusano di essere troppo tenero con Cadorna. Non venendo da uno storico antimilita­rista ma dal generale che si trova, in un contesto ovviamente diverso, a occupare il posto che fu di Cadorna, ho trovato invece significat­iva la sua critica al comandante, che nel bollettino del 28 ottobre attribuì la sconfitta a «reparti della Seconda Armata vilmente arresisi». Un capo, dice Graziano, non può fare la colpa ai suoi uomini. Diverso è sostenere che la guerra non si poteva non fare. È vero che nel 1915 l’Italia era l’unico tra i grandi Paesi d’Europa, a parte la Spagna che però non aveva interessi territoria­li e strategici in gioco, a non essere in guerra. Però già si conosceva l’entità del massacro. La tattica dell’assalto a ondate era sbagliata: un errore che talora, con le decimazion­i, degenerò in un crimine. Per citare, caro Filippo, le parole di suo nonno: «Ricordatel­o! La guerra non purifica. È una menzogna! La guerra è una melma che tutto copre e imputridis­ce».

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