GELO E DISGELO TRA CREMLINO E CASA BIANCA
Ripercorrendo la storia delle relazioni di Mosca con l’Occidente e con gli Stati Uniti in particolare, una cosa appare evidente: non sono mai proseguite in linea retta. A momenti di forte tensione sono seguiti periodi di collaborazione e di speranza, interrotti a loro volta da nuove crisi. La Russia di Vladimir Putin è oggi più lontana che mai da Washington dopo la crisi ucraina, l’annessione della Crimea, le sanzioni e le controsanzioni, le accuse di ingerenza nelle elezioni presidenziali americane. Certo, a causa di una politica del leader russo che molti giudicano neo-imperiale. Ma non solo per questo, come si deduce dalla lettura del libro che alla spinosa questione delle relazioni tra Est e Ovest ha dedicato Ennio Caretto, per anni corrispondente estero (Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia) per le principali testate italiane, compreso il «Corriere della Sera».
Oltre che giornalista «di razza», Caretto è anche un appassionato «topo di biblioteca» e da molti anni passa parte del suo tempo a spulciare i documenti che, man mano, le cancellerie internazionali rendono pubblici togliendo il vincolo del segreto di Stato. Così il suo Non solo Putin (Biblioteca dei Leoni, pagine 253, 16) ci fa rivivere alcuni degli eventi più importanti della storia recente con un occhio nuovo, basato spesso sugli appunti e le trascrizioni dei colloqui riservati tra i grandi. Particolarmente illuminante lo stenografico dell’incontro tra il presidente George Bush (padre) e il cancelliere tedesco Helmut Kohl poco dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989. Con la fine della guerra fredda, ammoniva Bush, l’Europa «dovrà pagare per la propria difesa». L’atteggiamento attuale di Donald Trump, insomma, non rappresenta nulla di nuovo.
Anche le difficoltà nei rapporti fra Russia e Stati Uniti sembrano essere solo la ripetizione di fasi del passato. Caretto ricorda i tormentati scambi di messaggi dell’amministrazione di Ronald Reagan con il Cremlino, quando segretari del Pcus erano prima Andropov e poi Cernenko. L’idea dell’ex attore di costruire uno scudo spaziale per intercettare eventuali missili lanciati dall’«Impero del male» (all’epoca, in realtà, irrealizzabile tecnicamente) è molto vicina a quella che sarà poi attuata in seguito da Bush figlio e da Obama. Con Gorbaciov, all’inizio, la tensione fu ancora fortissima, fino a quando Reagan non si convinse, anche grazie ai consigli della premier britannica Margaret Thatcher, che il leader sovietico voleva davvero nuovi rapporti con l’Occidente e un accordo sugli armamenti nucleari.
Ci fu un reset delle relazioni, come quello che avrebbe dovuto scattare all’epoca della presidenza Obama. In quest’ultimo caso la segretaria di Stato Hillary Clinton si presentò dal suo omologo Sergej Lavrov consegnandogli un pulsante rosso con su scritto, appunto, reset. La traduzione in russo era peregruzka. Che però non vuol dire reset ma «sovraccarico», parola che fa subito pensare a un incidente. Una gaffe dei traduttori che anticipò quello che sarebbe accaduto: Russia e Stati Uniti non sarebbero affatto riusciti a far ripartire da zero i loro rapporti. Caretto afferma che in realtà i veri reset tra le due potenze furono solo due nella storia, quello deciso da Roosevelt nel 1933, quando riconobbe l’Unione Sovietica, e quello di Reagan nel 1985.
Obama partì con buone intenzioni, ma poi proseguì in parte la politica delle precedenti amministrazioni, mettendo sempre più in difficoltà Mosca. Oggi poi Trump, che vorrebbe resettare i rapporti con colui che, a quanto pare, gli ha dato una sostanziosa mano a diventare presidente, è bloccato dal Congresso, infuriato proprio per l’ingerenza russa nel meccanismo elettorale americano.