Il Giappone e l’animismo che si adatta alla modernità
Il cuore antico del Giappone è un tutt’uno con la sua aspirazione alla modernità. Sembra un ossimoro. Forse una chimera. Molti, nel Sol Levante, hanno affrontato una crisi profonda all’indomani del tragico incidente di Fukushima che ancora oggi, oltre sei anni dopo il tragico terremototsunami, rappresenta una minaccia radioattiva per l’ambiente: la Natura offesa dall’opera umana. Eppure, questo affascinante Paese, ospite al Festival della scienza di Genova, non cessa di sorprendere per la sua capacità di coniugare l’essenza più interiore della sua tradizione millenaria — per definizione atarassica — con la tecnica e la prassi della scoperta, modalità che invece vivono in perpetuo movimento. Forse questo connubio (felice) ha le sue radici nel mondo spirituale giapponese profondamente e autenticamente animista. Insomma, lo Shinto che ha forgiato alla nascita una nazione insegnando che tutto, sulla Terra, ha un’anima: persino gli alberi e le pietre. Dunque? Posto che il Buddhismo, arrivato in seguito, non è riuscito a sostituire la religione originale ma ha potuto solo affiancarla, i kami — gli spiriti — delle cose hanno accompagnato nei secoli la visione dell’universo giapponese. Adattandosi ai tempi senza alcuna fatica: è questo forse il filo intimo che bisogna svolgere per immaginare, più che comprendere, come si proietta la visione del mondo di un Paese che è arrivato al Diciannovesimo secolo con una struttura feudale della società e poi, nell’arco di pochi decenni, si è conquistato un posto tra i protagonisti della modernità scientifica — con tutte le conseguenze, anche negative, di un passaggio epocale senza precedenti nella Storia. Il Giappone ha dovuto pagare duramente le inevitabili contraddizioni che il progresso gli ha imposto, ma questo perché ha fallito la politica, non l’anima: quella resta eterna.