Le ancelle della dittatura, il futuro distopico nella serie Usa
Distopia è un termine che abbiamo imparato a conoscere soprattutto negli ultimi tempi grazie ai numerosi adattamenti seriali di romanzi celebri: è un genere che nel tempo ha assunto vari nomi. Il termine è stato introdotto nell’Ottocento dal filosofo John Stuart Mill. Il suo intento era quello di trovare una parola che potesse indicare il contrario dell’utopia, cioè un mondo immaginario alla rovescia, dove però tutto va male.
«The Handmaid’s Tale», la serie tv targata MGM Television ispirata all’omonimo romanzo di Margaret Atwood (in italiano «Il racconto dell’ancella») descrive gli Stati Uniti (la cui bandiera ha però ora solo due stelle), nel frattempo diventati una teocrazia, uno stato totalitario fondato sulla Bibbia. Numerosi i riferimenti all’oggi: l’Isis, Uber, la più moderna tecnologia (la serie è disponibile su TimVision).
Protagonista è June (Elisabeth Moss), ora ancella Difred, (Di-Fred, proprietà di Fred, il suo Comandante). La protagonista ricorda perfettamente com’era la vita prima di questo regime dittatoriale. Le hanno rapito la figlia e lei tenta di ritrovarla: «Non siamo concubine, né uteri con due gambe». Ma perché ancella? Le donne sono totalmente asservite agli uomini e le ancelle hanno il solo scopo di procreare per conto terzi, visto che l’apocalisse che ha sconvolto la nazione ha reso le mogli infeconde. Le punizioni per chi non si attiene alle ferree regole sono atroci e la sorveglianza non lascia scampo.
Il genere distopico, sempre così carico di angosce, ripulse, umorismo sarcastico e violento, ma anche di retorica del martirio, rischia di invecchiare in fretta (non per i grandi autori classici: Orwell, Zamjàtin, Huxley, Burgess, Bradbury, Philip K. Dick…).
Per fortuna, «The Handmaid’s tale» conserva tutta la sua carica amaramente allegorica e la violenza di alcune scene è riscattata dalla scrittura.