Corriere della Sera

La spinta

- Di Massimo Gramellini

Amaggio dello scorso anno un adolescent­e di Monopoli spinge in mare due anziani da una scogliera. Così, per scherzare. Uno dei due batte la testa sulle rocce durante la caduta, perde i sensi e affoga. Ieri è stata la giustizia a dare al ragazzo una bella spinta, facendo precipitar­e il senso di tutto. Ha deciso che, se il ragazzo svolgerà volontaria­to presso un ospizio per tre anni, il suo reato sarà estinto.

Che cosa disturba in questa decisione, presa nel pieno rispetto della legge e con l’intento nobile di recuperare l’autore di un gesto balordo alla vita civile? La durata della punizione. C’è un tempo per perdonare, ma anche uno per pagare. E, quando di mezzo c’è un morto, tre anni sono un tempo insufficie­nte per entrambe le cose. Sono pochi persino per comprender­e la portata di quello che si è fatto. La legge, che giustament­e si concentra sui colpevoli, sembra invece restia ad allargare il suo sguardo alle vittime. Il signor Giuseppe Dibello aveva settantase­tte anni. La sua era una vita fragile, da maneggiare con cura, ma ancora densa di desideri e affetti. Che cosa penseranno i suoi nipoti di uno Stato che l’ha valutata così poco? Viviamo nella dittatura dell’istante: ieri è già un secolo fa e domani un orizzonte talmente incerto e lontano che il passare del tempo sembra uno spreco. Ma tra tre anni e l’ergastolo ci deve pur essere una soluzione intermedia che consenta a chi ha sbagliato di avere una seconda opportunit­à e a chi ha pagato il prezzo dello sbaglio di non ridursi a un semplice apostrofo tra le parole t’assolvo.

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