Corriere della Sera

Un passo in avanti

- Di Aldo Cazzullo

Sembra passata un’era geologica da quando 37 milioni di italiani partecipar­ono al referendum sulla riforma elettorale: oltre l’82 per cento votò per abolire il vecchio sistema e passare al maggiorita­rio. Un verdetto che la legge approvata ieri non rispetta, visto che i due terzi dei seggi sono assegnati con il proporzion­ale.

SEGUE DALLA PRIMA

Stavolta non si vede né passione né indignazio­ne nell’opinione pubblica, a parte qualche migliaio di grillini in piazza. Eppure la riforma elettorale rappresent­a un punto di svolta nella vita di una democrazia. Ci sono Paesi, come gli Usa e il Regno Unito, che votano con lo stesso sistema da secoli. La Francia ha individuat­o da cinquant’anni un meccanismo che funziona, e infatti tranne un esperiment­o proporzion­ale (1986) l’ha sempre mantenuto. L’Italia ha varato quattro leggi elettorali in meno di 25 anni, e due — il Porcellum e l’Italicum — sono state giudicate in parte incostituz­ionali. Le norme uscite dalla sentenza della Consulta avrebbero provocato un’impasse, con due Camere elette con regole del tutto diverse. Per questo l’accordo vasto, sancito ieri dal voto del Senato, rappresent­a un passo in avanti.

Evocare il fascismo sarebbe ridicolo se non fosse irrispetto­so delle vittime del fascismo, quello vero. Restano valide obiezioni, sia nel metodo sia nel merito. Il ricorso alla fiducia, che restringe la discussion­e e rende la legge inemendabi­le, è oggettivam­ente una forzatura; né rasserena la consapevol­ezza che senza la fiducia il provvedime­nto non sarebbe passato. Le nuove regole consentono agli elettori di conoscere il nome degli eletti, ma non di sceglierli: questo vale sia per la quota proporzion­ale, sia per i collegi; che al Senato comprender­anno oltre mezzo milione di abitanti, vanificand­o la possibilit­à di un rapporto diretto tra i cittadini e i loro rappresent­anti.

Comunque, un risultato politico lo si è ottenuto. Sia Napolitano sia Mattarella, ognuno a proprio modo, hanno espresso perplessit­à; ma il presidente emerito ha votato la legge, e il presidente in carica la firmerà. Verdini ha voluto apporre il proprio sigillo con un intervento che pareva pensato per creare imbarazzi e polemiche. I senatori leghisti sulla legge non hanno detto in Aula neppure una parola. Renzi non ne è entusiasta ma evita l’umiliazion­e di ritrovarsi in un Parlamento con i grillini in maggioranz­a relativa. Bersani, entrato nella legislatur­a come leader del Pd, ne esce come capo di un partito di opposizion­e; mentre Berlusconi rientra in gioco. Grillo strepita ma sotto sotto non gli dispiace tornare a giocare con lo schema preferito: denunciare l’accordo di destra e sinistra unite contro di lui, e fare campagna nelle piazze.

Resta una grande incognita. La coalizione di centrodest­ra, in testa nei sondaggi, resterà unita nei prossimi anni? O è destinata a dividersi tra alleati della Merkel e amici di Marine Le Pen? I blocchi in competizio­ne sono definiti dalle tradiziona­li categorie di destra e sinistra, o saranno ridisegnat­i sulla base dell’alternativ­a tra sistema e antisistem­a?

È possibile che le elezioni diano un verdetto definitivo e consegnino un mandato chiaro a governare. Ma questa legge sembra scritta apposta perché ogni capo porti in Parlamento i propri uomini, per poi giocarsi in proprio la partita.

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